mercoledì 5 settembre 2018

La primavera

Deve sentirsi molto a suo agio nei territori rurali Christophe Farnarier (e come dargli torto?), perché quattro anni dopo El somni (2008), con una parentesi come direttore della fotografia – sua attività principale – per Familystrip (2009) e un’altra come co-regista in The First Rasta (2010), ritorna a girare un documentario in zone non lontane da dove pascolavano i greggi del signor Pipa, siamo infatti nuovamente vicini al confine francese, nella Catalogna interna, più precisamente la Sierra Cavallera, una zona montuosa dove si arriva anche a toccare gli oltre duemila metri di altitudine. Lo scenario de La primavera (2012) è perciò facilmente accostabile al lavoro precedente dell’autore marsigliese, non solo, diciamo che anche a questo giro c’è una forte concentrazione filmica su una precisa figura del suddetto scenario, se prima era un vecchio pastore adesso è una donna, Carme, che attraverso l’occhio di Farnarier incarna un po’ tutte le mujeres del mondo agreste, una santa terrena splittata in una moltitudine di ruoli (da mamma a contadina, da allevatrice a cameriera), una stacanovista che non cede mai e che mai si siede se non per consumare il pasto con i familiari. La primavera è Carme, poiché, in uno slancio poetico, essa è la primavera tout court, d’altronde, con le sue sbocciature e fioriture, non esiste stagione più muliebre.

Di tale ritratto Farnarier fornisce piccoli tasselli che vanno a formare quell’inconcepibile mosaico che è la vita stessa, con silenzio e misura la mdp si appoggia invisibile nei luoghi dove la summenzionata vita annota il proprio scorrere, e allora, come il titolo fa già intuire, sarà l’infinita ciclicità del tempo a dettare l’andatura, e il vivere agricolo non può che seguire i propri rituali ancestrali, sicché dalla semina arriverà il raccolto e dal maiale carni e salsicce, col primo caldo, poi, ci sarà bisogno della tosatura, e avanti così (così: una gallina sgozzata, non sappiamo per cosa, sarà soltanto un punto dell’infinito cerchio), fino al ritorno di un altro inverno. Incastonata in un giro sempiterno, Carme è, per merito dello sguardo di Farnarier, un piccolo essere umano condannato alla ripetizione (ma noi animali metropolitani siamo tanto più liberi?) con però una tenacia e una forza che la rendono un soggetto ideale per un progetto del genere, e quando la vediamo alla festa di paese ridere al concerto dell’anziano con l’organetto, siamo quasi contenti per lei e per il momento di svago che è riuscita a ritagliarsi.

La primavera, ma credo che lo abbiate capito, non fa rivoluzioni, quello che mostra il cinema lo ha già largamente mostrato in passato, tanto che altri registi (vedi Michelangelo Frammartino) ci hanno costruito sopra un’intera carriera, oppure, giusto per rimanere in Spagna, un titolo equiparabile e probabilmente anche superiore è The Sky Turns (2004), ad ogni modo, a differenza di quella settima arte improntata al guadagno i cui esemplari sono tutte esili copie le une delle altre, delle proposte che viaggiano in senso contrario vanno sempre omaggiate con la visione, anche se non arricchiranno troppo il vostro bagaglio cinematografico.

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