Non è un film molto
conosciuto in Italia (e non solo) Gorod Zero (1988), e lo dico
con l’unica cartina tornasole a disposizione, la Rete, nella quale
non si rintraccia una degna recensione che sia una, ed è
curioso perché questo strano oggetto non identificato che porta la
firma del russo Karen Šachnazarov è un ghiotto piatto che potrebbe
soddisfare l’appetito weird di quei cercatori di pepite
cinematografiche disperse nel tempo e nello spazio, e, per
allacciarmi al volo con il commento, proprio i due elementi fondanti
appena citati hanno un ruolo importante nella pellicola, non per la
loro presenza ma per la loro assenza: quella del regista nato a
Krasnodar è una vicenda che non ha punti di riferimento definiti, a
parte la connotazione geografica (che è fondamentale), le
vicissitudini del povero Varakin si sfilacciano in rivoli via via
sempre più alieni e disorientanti (per lui e per noi), ne è prova
l’incredibile visita al museo sotterraneo che sradica la logica e
la Storia attraverso dei diorami viventi che hanno un valido impatto
estetico anche a distanza di quasi trent’anni; la forma qui si
coniuga ad una ricerca del bizzarro, dell’astruso, del bislacco che
fa in modo di accettare un profuso intorbidimento bilanciato dalla
sensazione che comunque ci sia un ordine a concertare il tutto.
Ahinoi negli anni abbiamo visto usare troppo dissennatamente
l’aggettivo “kafkiano”, non so se Gorod Zero possa
fregiarsi di tale qualità, certo è che è raro trovare una
rappresentazione così originale (e convincente) del singolo inerme
fagocitato da un sistema schiacciante.
Perché le diffuse
stramberie non sono fini a se stesse visto che il film altro non è
se non una grande allegoria del momento storico vissuto all’epoca
dall’Unione Sovietica, una metafora che non lesina ironia e
soluzioni intriganti: prendiamo l’episodio del ristorante, una
scena che apparentemente non avrebbe particolari potenzialità è
invece lo spunto utilizzato da Šachnazarov per espandere una bolla
che non può fare a meno di ingigantirsi di minuto in minuto, tra
nessi all’universo russo non così facili da cogliere per noi
europei (ma il bello sta anche qua) e l’inaspettata nonché
improbabile svolta da pseudo-giallo con tanto di morto e sospettato,
ecco profilarsi che cosa Città Zero (a proposito, il film è
citato anche con il titolo italiano, ma è mai uscito da qualche
parte?) nasconde realmente sotto la sua maschera stravagante, ossia
il ritratto di una nazione in transizione e di una società “chiusa”
la cui breccia aperta da un evento banale come un tizio che balla per
la prima volta il rock and roll finisce con gli anni per trasformarsi
in una scheggia impazzita che rivoluziona il piccolo grande mondo
illustrato, ed è inoltre interessante l’espletamento del processo
con cui Varakin viene
assoggettato al volere di loschi personaggi e di come al contempo sia
spersonalizzato e annullato, diventa perciò evidente, alla fine, di
quanto poco siano velati i rimandi alla situazione extrafilmica sul
finire degli anni ’80 in Russia.
Devo assolutamente
ringraziare Indie-Sci-Fi che mi ha suggerito Gorod Zero
parlando di Dead Man’s Letters (1986), se avete voglia di
dare una scorsa ai commenti di quel post troverete delle informazioni
interessanti sul lavoro di Šachnazarov e sui correlati retroscena
politici.
Grazie, Eraser! Molto interessante la lattura di chiesto film attraverso gli occhi di una persona dell'Occidente.
RispondiEliminaP. S. Varakin, non Varkin! :)
Correggo il nome e grazie a te, di nuovo, per il suggerimento!
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