martedì 5 settembre 2017

Junkyard

Junkyard (2012) è un flash, nel senso che si prende carico di rappresentare l’abbacinante (che non è rappresentabile, infatti il corto termina in un nitore indefinito), il lampo che precede la morte: Hisko Hulsing, factotum dell’animazione avendo messo mano in ogni processo creativo, dai disegni – ovviamente – alle musiche, per mostrare questa cosa così impossibile preferisce accomodarsi su una struttura piana ed accogliente, quella della narrazione classicheggiante che vede nell’istante del decesso una poderosa regressione mnemonico-temporale relativa al passato del protagonista. È una scelta che imbullona il film in una dimensione terrena, non c’è apertura, sgomento, spaesamento, il racconto segue fedelmente le costrizioni dell’affabulazione portando a ritrattismi netti (il bravo ragazzo e quello cattivo) e ad una consequenzialità che sfocia in un immancabile colpo di scena rivelatore. Hulsing insomma gioca facile, non osa il distacco dagli ingranaggi del cinema prefabbricato, si siede nella platea pigra, la platea che ha bisogno di storie con un capo e una coda.

Ma sarei un bugiardo se dicessi che Junkyard è un’opera da archiviare per via di un impianto non troppo originale. Nella visione dell’olandese prima delle componenti sceneggiaturiali c’è un “qualcosa” che magnetizza. Capisco l’insopportabilità del termine “qualcosa”, ma dovete starci: Junkyard ha un’atmosfera, un ambiente, un’aria che soffia fuori della roba che sa sfiorarti, sicuramente la mistura tecnica fa il suo, questa tendenza dell’animazione odierna di coniugare il 2D con il 3D produce quasi sempre effetti positivi, cortocircuiti estetici che propagano un certo straniamento, in più la ricostruzione geografica che, visto anche l’accento dei doppiatori, trasporta in una periferia inglese degli anni ’80 trasmette un non si sa che di nostalgico. Ma al di là di tali elementi c’è un flusso invisibile in Junkyard che arriva a prescindere dal veicolamento stravisto, alla fine dentro la schermata bianca c’è tutta una vita da poter leggere, e dopo appena diciotto minuti non è una questione trascurabile.

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