martedì 5 febbraio 2013

Un lac

C’è molto buio in questo film di Philippe Grandrieux, un buio che non deriva soltanto dall’assenza di luci artificiali, bensì da quell’oscurità che non si può vedere perché annidata dentro le persone; tenebre personali, angosce dell’esistenza: Un lac (2008) sacrifica la descrizione in favore della sensazione, nulla viene anticipato, narrato o ripensato, è un film di ora dove lo storytelling si modella nell’immagine e la parola viene scansata dai gesti.

La realtà naturale sovrasta l’uomo che, visibilmente frustrato per le sue vicissitudini, si sfoga su di essa abbattendone gli alberi. Il paesaggio innevato diventa la corrispondente rappresentazione dell’animo dei protagonisti: gelati, ibernati nella loro vita senza calore (quello tra fratello e sorella non si rivelerà sufficiente), prigionieri della cappa famigliare e di una routine che sebbene non esplicitamente mostrata è agile da intuire: il taglio della legna, la pulitura del cavallo, il cibo spartano.
Per scardinare le sbarre di questa prigione invisibile ci vuole una mina vagante come il forestiero, la cui introduzione nella storia è appena accennata da un primo piano improvviso, un’emersione crepuscolare: il filo di luce in una pianura di nebbia.

Grandrieux gira con un micro-terremoto nel polso, tellurico, epilettico come il suo protagonista, non c’è praticamente mai un attimo di stasi, le inquadrature rantolano ad un millimetro dai corpi, colgono i riflessi negli occhi, i dettagli (la brina attaccata ai rami, la mano rabdomantica della madre che incontra la guancia della figlia, entrambi magnifici), le inquietudini sopra di loro (quasi mai il sole oltrepasserà la coltre delle nuvole). I rari interni che si vedono sono spazi di pura notte, petrolio che avvolge, che culla, magari un amplesso, la goccia che smuove l’immobile superficie del lago.

Prego astenersi spettatori inquadrati nel racconto, arroccati nelle logore cerimonie visive, assuefatti ai percorsi prestabiliti, accorrano tutti quelli che vogliono provare col cinema altre esperienze sensitive, perché questo è cinema che si avverte, e poi, ma solo poi, che si vede.

4 commenti:

  1. Tutto il cinema di Grandrieux è percettivo... e terribilmente oscuro (in tutti i sensi). Tra questo e Le Vie Nouvelle, non saprei scegliere quale mi abbia attirato di più, dovrei ripassare. Sono curioso di vedere anche l'ultimo lavoro: White Epilepsy.

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  2. Ho capito fin dal primo fotogramma di Un lac che Grandrieux è uno da approfondire. Cercherò di farlo.

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  3. Ho avuto il privilegio di seguire il cinema di Grandrieux nella sua naturale evoluzione e lo considero non il migliore, ma il più adatto alla rappresentazione Un lac in questo senso è pellicola emblematica...
    Un saluto, bowman

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  4. Non ho capito: alla rappresentazione di che? :)

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