sabato 23 febbraio 2013

Aspettando i vincitori...

Il Sundance e la Berlinale hanno decretato i propri vincitori. Vediamo su chi e su che cosa sarebbe interessante mettere le mani.

Dall’altra parte dell’oceano a trionfare è stato un film drammatico basato sulla storia vera di un ragazzo ucciso da un agente di polizia l’1 gennaio del 2009. Il titolo è Fruitvale (nome della stazione ferroviaria in cui è avvenuto il delitto) ed è diretto dal debuttante classe 1986 Ryan Coogler a cui auspichiamo un successo pari a quello di Benh Zeitlin che vinse lo stesso premio un anno prima. Nella sezione documentaristica occhio a Blood Brother che sulla carta non accende particolari entusiasmi (un americano si reca in India e sposa la causa sociale) ma che è stato giudicato come miglior doc U.S. Il dirimpettaio della stessa categoria, ovvero il miglior doc non-U.S., è il cambogiano A River Changes Course in bilico fra le tradizioni del Paese e i problemi che affliggono quest’ultimo. Taglio politico per il coreano Jiseul (foto sopra), che si è aggiudicato l’onorificenza come miglior film non statunitense, in cui viene narrata la ribellione del ’48 da parte degli abitanti di un’isola vulcanica chiamata Jeju-do. Opera prima, bianco e nero. Segnamocelo.

Nella nostra cara Europa Wong Kar-wai ha deciso di incoronare una cinematografia che negli ultimi anni è una realtà che reclama l’attenzione di tutto il continente: sebbene Child’s Pose appaia, al solo leggere della trama, un pochino fiacchetto ci riserviamo di giudicare perché parlare senza aver visto è troppo facile. L’Orso d’Argento, dopo due anni di dominio ungherese (Tarr e Fliegauf), è invece andato a Danis Tanović e al suo An Episode in the Life of an Iron Picker. Miglior sceneggiatura a Closed Curtain di Panahi che continua a lottare con noi, mentre Côté (tenete sott’occhio questo canadese) con Vic and Flo Saw a Bear ha vinto il premio Bauer che nell’edizione precedente andò a Miguel Gomes. Dumont (Camille Claudel, 1915) è rimasto a secco, era successo anche a Cannes per Hors Satan, quindi l’assenza di riconoscimenti berlinesi non inficia assolutamente niente. Idem per l’ultimo capitolo della trilogia di Seidl: Hope. Infine appuntatevi questo titolo: The Act of Killing.

Di tutto questo vedremo quanto giungerà nelle sale italiane. (domanda retorica, lo so)

4 commenti:

  1. L'ho segnato, grazie. The act of killing sembra un documentario davvero importante. Crudele, ma necessario. Soprattutto qui in Italia, dove i crimini di Suharto sono passati inosservati.

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  2. L'avevo già adocchiato, poi alcune impressioni post-Berlino hanno confermato. Anche la media di IMDb invoglia.

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  3. Hai avuto modo di vedere l'ultimo di Dumont? Qui a Torino lo danno in settimana, mi sa che vado a spararmelo in solitaria.

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  4. No perché non c'è possibilità di poterlo vedere per ora... io fossi in te ci andrei, e anche a velocità sostenuta.

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