domenica 8 luglio 2012

Skhizein

Incassare il colpo, nella perifrasi di Skhizein (2008) venire colpiti da un meteorite e non essere più se stessi. L’attenzione di questo amabile film francese si focalizza su un piano interpretativo che ha più livelli: abbiamo il cambiamento causato dall’evento, qui sta il colpo di genio: essere spostati di 91 centimetri un po’ più in là e quindi riformulare la piantina del proprio appartamento; ma abbiamo anche lo smarrimento dovuto all’allontanamento del proprio esserci, il protagonista dal faccione tondo come la luna non solo deve sincronizzarsi con la nuova vita (sedersi, rispondere al telefono, scrivere a macchina), ma deve, in primis, ritrovare la bussola della sua esistenza.

Gli strati della rappresentazione fanno congiungere 2D e 3D con nostalgica morbidezza, l’incontro è fecondo: la tridimensionalità permette al corto di realizzarsi al 100% con l’omino che attraversa le pareti, mentre le due dimensioni, non si può dire se effettive o presunte, operano invece nel campo delle suggestioni e ornano la storia con quel sapore di mestizia tanto caro a noi scontenti umani.
Lo scenario così delicato non argina comunque il cambiamento men che meno lo smarrimento sopraccitati, il dispiacere cartonato si legittima nel finale dove il colpo rincara la dose e allora cercarsi diventa un’impresa senza senso, non più spostato e nemmeno sprofondato, il piccolo ometto si trova a galleggiare nel suo universo, nella sua casa, nella sua mente.

11 commenti:

  1. l'ho visto un paio d'anni fa in un cinema, e mi è piaciuto molto molto

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  2. Ma che delicatezza! Bellissimo.
    Quanto da dire! Ma hai notato che quando l’omino guarda dentro il telescopio, non si mette a 91 cm da esso? Ci guarda dentro, riesce a guardare dentro al telescopio. Riesce ad osservare ciò che gli interessa, ciò che pensa possa essere un aiuto per ricentrarlo.
    Oppure mi sto sbagliando? Fammi sapere cosa ne pensi.
    Un saluto, Jean Claude.

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  3. Vero è così, l'ho riguardato ed hai ragione.
    Io ho visto il film come un ritratto della follia raccontato da chi ci è dentro, una sorta di visione partecipata che racconta quella che sembra essere la verità e che invece molto probablimente non lo è ("lo zio ti ha visto per strada e non sembravi tu"). La tua osservazione mi conferma ciò: penso che la pazzia si ostini a cercare le cause nel mondo esterno (il meteorite) piuttosto che in quello interno.
    Mi resta un interrogativo: l'ultimissima immagine, quella in cui rimane la sagoma del protagonista sovrapposta alla finestra non sono riuscito a comprenderla.
    Un salutone anche a te!

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  4. Ho trovato il film molto acuto, soprattutto per la trovata della distanza che prova il personaggio da se stesso.
    Non amo le metafore, ma qui penso stiano bene.
    Il meteorite, per esempio, credo sia un’ottima metafora per rappresentare la rottura, un accadimento.
    Ci si sente differenti, qualcosa non va più come dovrebbe andare.
    Una rottura, come dicevo, che non si comprende e che conduce la persona a concentrarsi sempre più su se stessa.
    Il problema è che proprio un eccessivo, debordante, sguardo su se stessi causa quella rottura psichica rappresentata, a mio avviso, metaforicamente dal meteorite.
    E’ uno sguardo edonistico, non riflessivo.
    Quindi, non sono d’accordo che la follia cerchi le proprie cause nel mondo esterno, bensì nel proprio mondo; ed è proprio scavando nella direzione sbagliata, che si può giungere da un’iniziale nevrosi alla patologia.
    E’ proprio questo l’errore che conduce il personaggio alla follia.
    Ma d’altronde che altro fare?
    E qui si nota la – solo inizialmente - corretta autocura del personaggio, il quale tenta di attenuare le difficoltà, di darsi un po’ di potenza in quel deserto psichico in cui si viene a trovare. Ed allora ecco le scritte sulle pareti. La ricerca di aiuto nello psicoterapeuta. Tutte situazioni che non possono che esasperarlo, malgrado l’apparenza, perché tutta la sua forza è utilizzata per contrastare qualcosa che è considerato strano, non è nella norma. Ed ecco l’errore: voler fuggire via da quella sensazione che non si considera normale, non è di nessuno, è solo sua.
    “Pare che colpisca una persona su cento […] una persona come questa…a caso”.
    Certo accettare la situazione, comprendere che è così e non può essere altrimenti non è cosa da tutti e, soprattutto, ci va tempo.
    Quindi, la fretta, l’ossessività che già lo caratterizzava, viene esasperata nella ricerca di ritornare ciò che non si può più essere.
    E allora il secondo meteorite, questa volta cercato, procurato, anzi, prodotto, non può che arrivare causando quel crollo definitivo che viene rappresentato nel finale.
    Insomma, per dirla con Artaud un altro “suicidato della società”.
    Scusami se mi sono dilungato.
    Jean Claude.

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  5. Pardon per la prima frase incomprensibile. Non mi ricordo che verbo volessi utilizzare al posto di quel "prova".
    Abbi pazienza.

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  6. Probabilmente stiamo pascolando nello stesso recinto ermeneutico ma beliamo in maniera diversa. Cause, effetti, conseguenze, sorgenti, estuari, credo che qui si possa applicare la vecchia e cara proprietà commutativa, il risultato non muta: c'è un evento e c'è un cambiamento. Su questo penso non ci sia altro da aggiungere. Poi sì, io continuo a restare nel mio cantuccio che vede il Nostro completamente privo di consapevolezza in merito alla sua situazione, tradotto: non sa di essere pazzo. E sebbene apprezzi molto, condividendola anche (ma in altri termini, o magari gli stessi), la definizione che dai del suo sguardo (edonistico), ravviso nel comportamento del protagonista una tendenza a cercare la soluzione al di fuori del proprio Io, ed ecco quindi il secondo meteorite che è sì inseguito ma che comunque è esterno, segno che una possibile terapia è situata, ovviamente erroneamente, in un oggetto altro, indipendente finanche incombente su di sé.
    Lana caprina comunque, arrendiamoci all'idea che anche un corto di 10 minuti scarsi può fecondare la mente come e più di un film normale, e a tal proposito ne approfitto biecamente per dire che questa estate verrete crivellati da commenti su cortometraggi, alcuni da amare seduta stante.

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  7. Eh eh eh eh...stai davvero segnalando tutti i miei corti d'animazione preferiti degli ultimi anni! Questo è davvero magnifico, qui mi azzardo a dire che è un piccolo capolavoro.

    Dello stesso regista ti consiglio anche "Une Histoire Vertebrale" del 2006, non siamo agli stessi livelli di "Skhizein", ma si capiva già che Jeremy Clapin è un autore con ottime idee e grandissimo talento. Sicuramente è da tener d'occhio.

    Ciao. :)

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  8. Mi ero dimenticato di lasciarti il link al corto:

    http://www.youtube.com/watch?v=Pq2hPgSzIwg

    Bye

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