L'ottavo giorno (1996), opera di mezzo che arriva 5 anni dopo Toto le héros e 13 prima di Mr. Nobody, è un film pervaso da una certa tregua poetica dove Van Dormael tira le redini del suo cavallo che puntando le zampe un po’ prima del confine fantasia/realtà resta, all’incirca, nel campo realista.
Non è un caso se il prologo e l’epilogo siano i segmenti più riusciti del film, perché è qui che il belga dà sfoggio della sua visione (infantile) del mondo in cui è l’immaginazione a spadroneggiare: la genesi biblica viene riplasmata secondo i dettami di uno spirito innocente; in principio non sono le tenebre, né il verbo, ma lo schermo di una televisione con dentro Luis Mariano che canta. Van Dormael, come d’abitudine, disfa e ricrea il Mondo, ma solo agli estremi della sua creatura il cui cuore, invece, non raggiunge la bellezza dei due film sopraccitati.
Scorazzando sul versante realistico, e a tratti sembra proprio di trovarci di fronte ad un road-movie, è inevitabile che il cinema vandormaeliano si depotenzi limitandosi ad un’esposizione lineare. Tuttavia non si imputa nulla al regista in merito all’accantonamento di un registro inventivo, piuttosto le accuse vengono rivolte alla scelta di aver lavorato in direzione di una sola meta, quella del sentimentalismo facile, miniaturizzando una storia a favoletta elementare con annessa morale.
Il pilota automatico è inserito soprattutto nella delineazione del personaggio di Auteuil che viene descritto con una sfilza di preconcetti, si ha infatti un uomo la cui vita è occupata da un lavoro che l’ha resa grigia e monotona, e che ha relegato sullo sfondo la famiglia e gli affetti.
Quindi, ad un tale identikit l’idea di affiancare un co-protagonista come Georges, ragazzo affetto dalla sindrome di down presente in tutti i film di Jaco, espande i margini di predizione laddove la presenza di due uomini così agli antipodi segna, comunque, una reciproca completezza.
Ma il fatto di annoverare un diversamente abile nel cast ed incaricarlo di un ruolo chiave, risulta a mio avviso una mossa scorretta nei confronti dello spettatore, un’astuzia che tocca le soglie della commiserazione. Beninteso, Georges è tanto simpatico quanto tenero e scalfirà anche l’animo più granitico, ma sfondare il muro dell’empatia in tale maniera è davvero troppo facile.
Se non bastasse questa modellazione dei character, è il corpo del film a viaggiare su binari prestabiliti; la progressione della sceneggiatura è profetizzabile praticamente in ogni suo risvolto (davvero pensavate che Harry potesse lasciare l’amico sotto la pioggia?) – ad esclusione delle “visioni” di Georges che ingioiellano una pellicola altrimenti troppo piatta – compreso il nocciolo della questione (sì, la morale) per cui un “mongoloide” per quanto possa apparire tonto è migliore di una persona “normale”.
La tesi è dunque snocciolata in siffatta maniera, e se davvero non ci fossero stati i piccoli slanci del Van Dormael che conosciamo, staremmo qui a parlare di un film non riuscito sotto tutte le angolazioni di giudizio. Ma per fortuna ci sono, e riescono ad arginare un poco la marea di melassa e banalità sprigionata dalla proiezione.
Non è un caso se il prologo e l’epilogo siano i segmenti più riusciti del film, perché è qui che il belga dà sfoggio della sua visione (infantile) del mondo in cui è l’immaginazione a spadroneggiare: la genesi biblica viene riplasmata secondo i dettami di uno spirito innocente; in principio non sono le tenebre, né il verbo, ma lo schermo di una televisione con dentro Luis Mariano che canta. Van Dormael, come d’abitudine, disfa e ricrea il Mondo, ma solo agli estremi della sua creatura il cui cuore, invece, non raggiunge la bellezza dei due film sopraccitati.
Scorazzando sul versante realistico, e a tratti sembra proprio di trovarci di fronte ad un road-movie, è inevitabile che il cinema vandormaeliano si depotenzi limitandosi ad un’esposizione lineare. Tuttavia non si imputa nulla al regista in merito all’accantonamento di un registro inventivo, piuttosto le accuse vengono rivolte alla scelta di aver lavorato in direzione di una sola meta, quella del sentimentalismo facile, miniaturizzando una storia a favoletta elementare con annessa morale.
Il pilota automatico è inserito soprattutto nella delineazione del personaggio di Auteuil che viene descritto con una sfilza di preconcetti, si ha infatti un uomo la cui vita è occupata da un lavoro che l’ha resa grigia e monotona, e che ha relegato sullo sfondo la famiglia e gli affetti.
Quindi, ad un tale identikit l’idea di affiancare un co-protagonista come Georges, ragazzo affetto dalla sindrome di down presente in tutti i film di Jaco, espande i margini di predizione laddove la presenza di due uomini così agli antipodi segna, comunque, una reciproca completezza.
Ma il fatto di annoverare un diversamente abile nel cast ed incaricarlo di un ruolo chiave, risulta a mio avviso una mossa scorretta nei confronti dello spettatore, un’astuzia che tocca le soglie della commiserazione. Beninteso, Georges è tanto simpatico quanto tenero e scalfirà anche l’animo più granitico, ma sfondare il muro dell’empatia in tale maniera è davvero troppo facile.
Se non bastasse questa modellazione dei character, è il corpo del film a viaggiare su binari prestabiliti; la progressione della sceneggiatura è profetizzabile praticamente in ogni suo risvolto (davvero pensavate che Harry potesse lasciare l’amico sotto la pioggia?) – ad esclusione delle “visioni” di Georges che ingioiellano una pellicola altrimenti troppo piatta – compreso il nocciolo della questione (sì, la morale) per cui un “mongoloide” per quanto possa apparire tonto è migliore di una persona “normale”.
La tesi è dunque snocciolata in siffatta maniera, e se davvero non ci fossero stati i piccoli slanci del Van Dormael che conosciamo, staremmo qui a parlare di un film non riuscito sotto tutte le angolazioni di giudizio. Ma per fortuna ci sono, e riescono ad arginare un poco la marea di melassa e banalità sprigionata dalla proiezione.
Accidenti hai fatto barba e capelli a uno di quei film che mi fa sempre piacere rivedere:lo vidi al cinema e rimasi entusiasta( ma a volte la visione al cinema porta all'entusiasmo e alla sopravvalutazione) ma rivisto dopo una quindicina d'anni e varie migliaia di film, l'effetto più o meno è rimasto lo stesso. E'vero che tra tutti i film di Van Dormael è quello più facilmente intelleggibile e più incanalato verso binari più consoni a un pubblico più vasto, ma non trovo assolutamente scorretto l'utilizzo di un attore con sindrome di Down. Sinceramente se al posto di Georges ci fosse stato un bambino (perchè la psiche di Georges è infantile) per me sarebbe stato lo stesso. La sindrome di Down non c'entra nulla. E'vero che il personaggio di Auteuil è disegnato per stereotipi ma credo che sia utile nel confrontare la sua vita complicata con quella lineare e semplice che appare agli occhi di Georges.Per me è la storia di un'amicizia tra due diversamente delusi dal mondo che hanno intorno...vado a memoria ma credo che sia una delle prime volte in cui non valutiamo alla stessa maniera un film..eh eh c'è da preoccuparsi?
RispondiEliminarileggendo il commento magari mi risparmierei la seconda g su intellegible..oppure ho coniato un nuovo vocabolo eh eh
RispondiEliminaTi rispondo questa sera ;)
RispondiEliminaho visto un film spagnolo dell'anno scorso, "Yo tambien", nel quale il protagonista è un giovane down.
RispondiElimina"unendo" i due film, mi viene da pensare che la storia del bambino ha un senso, sono d'accordo con Bradipo.
per il resto mi ricordo, nelle 2-3 volte che l'ho visto, che sia un film che vale , Jaco Van Dormael riesce sempre a farci vedere le cose con un occhio diverso, come se ci fosse un'altra via (e c'è) la possibilità di vedere le cose con occhi diversi, un'altra visione è possibile:)
Ecco, le cose appena dette in merito all'utilizzo di un ragazzo down nel film di VD mi sento di ripeterle anche per Yo tambien.
EliminaNon pensatemi un insensibile, davvero, vedo queste operazioni principalmente come un modo per suscitare del pietismo spettatoriale. Io la vedo così: la disabilità è qualcosa di infinitamente lontano da qui.
Ma scusa, il tema del film Yo Tambien è proprio il rapporto della persona disabile con il resto del mondo... riassunto alla perfezione nella frase "perché vuoi essere una persona normale"?
EliminaSarebbe difficile affrontare questo tema senza un attore disabile...!
Dunque dunque, chiaramente non è l'utilizzo di un diversamente abile all'interno del cast a farmi pensare male. Per me il danno più grande è che la presenza di Georges rapportata a quella di Auteuil fa sprofondare il film in una pozza di retorica benpensante; Van Dormael detta troppo marcatemente i suoi intenti che, sempre a mio avviso, sono pronosticabili solo che leggendo la sinossi. Ciò non toglie che il film sia (a tratti) gustoso e, come scritto sopra, contenga parentesi di classe (bellissima quella del camion), ma è nel messaggio che scade: il mondo è pieno di Georges ed è pieno di Auteuil, il contatto reale tra questi due universi non è però il ritratto proposto da questo film.
RispondiEliminaSe poi il tutto si vuol vedere sotto un'ottica fiabesca allora il discorso cambia...