Il sentimento di riconoscenza verso la “cosa” cinema dovrebbe essere una costante per tutti i registi del mondo, lo stesso Straub, in questo documentario, riporta le voci che riguardano il suo mestiere, voci che lo rendono un privilegiato agli occhi della gente, perché lui, a differenza del 90% della popolazione, campa con quel che più gli piace (anche se al tempo degli esordi non fu facile reperire il denaro sufficiente). Probabilmente ogni autore possiede nel proprio cuore questa forma di gratitudine, ma Pedro Costa nel 2001 è andato oltre e si è (/ci ha) fatto un regalo straordinario portando la sua videocamera nello studio di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet (scomparsa nel 2006), marito e moglie sulla scena dagli anni ’60 nonché snodi seminali di molto cinema autoriale contemporaneo, mentre sono alle prese con l’editing di un loro vecchio film chiamato Sicilia!.
I coniugi, nonostante siano sempre stati lontani da lustrini e paillettes, si sono guadagnati col tempo una certa reputazione perché considerati dalla critica degli innovatori del linguaggio filmico, degli aggiratori delle consuete formule cinematografiche. Chi scrive non può confermare in toto perché reduce soltanto da alcuni stralci visionati in Rete, ma da quel poco si evince con chiarezza l’asciuttissima possanza di uno stile personale degno d’attenzione, e in subordine di uno stile non dissimile da quello costiano. Le similitudini si rintracciano in una medesima estromissione del movimento immobilizzando così la fonte visiva che ha davanti a sé in larga parte attori non professionisti, mentre la scelta di appoggiarsi ad una recitazione anti-accademica risulta l’altra convergenza con l’arte del lusitano.
Ma al di là dell’evidente debito che Costa ha nei confronti di questa coppia francese, dalle immagini di Où gît votre sourire enfoui? traspare un rispetto assoluto e silenzioso verso il lavoro che compiono i due registi. Come per In Vanda’s Room (2000) egli è soltanto un testimone che osserva (e noi con lui) la prassi, bizzarra e anche un filino tenera (la Huillet che si mette a parlare di una t-shirt rubata a Roma anni prima insieme al marito), che vede la donna sempre in plancia di comando a smanettare con la moviola, mentre l’uomo preferisce filosofeggiare, discettare di cinema e letteratura (italiana, i due sono grandi ammiratori di Pavese e Vittorini) nelle confortevoli tenebre della camera oscura.
Il finale, che coincide con il finale di Sicilia! proiettato nella sala, lascia inquieti, leggermente scossi dai dubbi: che cosa è la “cosa” cinema? Che cos’è questa forza magnetica dell’immagine? Che cos’è quest’ipnotico flusso verbale? Dov’è il cinema? In una macchina da presa o in una sala cinematografica? Cos’è un regista? Un uomo che cattura la realtà o uno scenografo del vivere reale?
… ma la musica finisce, e i titoli di coda giungono a silenziare tutto, anche le nostre futili domande.
uno scenografo del vivere reale direbbe Dziga Vertov. Questi pensieri mi girano e rigirano in testa in continuazione, anche quando non vedo il cinema. Sarà normale? boh...:) Segnato anche questo, grazie.
RispondiEliminawaYne se, con tutta calma, riesci a tradurre qualcosa di Costa faresti del bene alla razza cinefila nostrana.
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