Continua il sodalizio fra il regista californiano Lucky McKee (May, il suo esordio del 2002 è un ricordo piacevole) e lo scrittore Jack Ketchum, apprezzato narratore a tinte horror che da queste parti avete potuto incontrare con La ragazza della porta accanto (2007), adattamento di un suo libro uscito nell’89.
Così, dopo che i due si erano sfiorati nel 2005 con The Lost, l’incontro vero e proprio è avvenuto grazie al thriller Red (2008) che risultava essere l’ultima prova di McKee nel lungometraggio fino a gennaio 2011, data in cui The Woman è stato presentato al Sundance.
L’incipit graffia: nel soave paesaggio fluviale irrompe una figura strana, nera, sporca, bestiale.
Cambio scena ed eccoci a bordo piscina in un party molto cool pieno di sorrisi e festoni, eppure accadono micro-eventi sospettabili: un dialogo tra il padre Chris e una vicina che vuole cambiare casa; il figlio che “si gusta” le prepotenze degli amici ai danni di una coetanea.
McKee getta nella prima manciata di minuti qualche indizio che si rivelerà prova con l’avvicendarsi della trama, la famiglia presa in esame è totalmente succube dell’autorità patriarcale, o meglio, l’assoggettamento è tale soltanto per chi appartiene alla sfera femminile, tanto che se si misurano gli indizi con adeguato metro, si scopre già dall’inizio, e poi sempre più marcatamente, di come ci sia una complicità tale tra padre-figlio che non è riscontrabile con gli altri componenti della famiglia.
L’andazzo sembra durare da tempo e basta leggerlo negli occhi di una dimessa (e notevolissima) Angela Bettis che subisce senza a né ba il volere del compagno, e tra i due la scena dello schiaffo diventa manifesto di una relazione insopportabile, per lei e per chi guarda.
Un altro termometro atto ad indicare la pessima situazione casalinga è dato dalla figlia maggiore, una altrettanto brava Lauren Ashley Carter, che non avendo il coraggio di esplicitare il peso che porta in grembo, si chiude a riccio in se stessa distanziandosi ancora di più dalla tirannia maschile, e dando perciò maggiore risalto alla cattiveria dell’uomo.
Questo è dunque il mondo (che dovrebbe essere) civile ivi rappresentato. L’impatto distruttivo lo si ha con l’entrata in scena della sauvages che porta con sé significati bisognosi d’analisi.
Innanzitutto la sua provenienza è un luogo d’Origine come un bosco, e nel cinema abbiamo visto quanto i grandi autori si siano affidati alla forza primigenia degli alberi per esplicitare contenuti.
In secondo luogo la donna in questione deve essere vista come La Donna, poiché non avendo nome si porta sulle spalle il peso di una categoria che nella Storia passata ha sempre dovuto lottare ottenendo poche meritate vittorie. In sostanza è quello che Medem avrebbe voluto fare con Chaotic Ana (2007) senza però avere la stessa efficacia di questo McKee che rispetto al suo collega avrà avuto molto meno tra le mani (e in tasca) su cui poter lavorare.
Infine La Donna sposta numericamente l’ago della bilancia verso il team delle girls perché senza contare la cucciola di casa si hanno due uomini e tre donne, per la serie l’unione fa la forza il marcio equilibrio fino a quel momento dominante è destinato a sfaldarsi.
L’osservazione di Elvezio Sciallis (link) sul fatto che a fare male non sono tanto le torture, comunque contenute, ma altri piccoli fatti che sommati creano la famigerata valanga, e che colpiscono più a fondo delle varie sevizie le quali non scivolano mai nella gratuità e non mostrano nulla se non due catene e una ciotola di cibo, è molto pertinente, per questo, oltre a trovare ampi consensi nel sottoscritto, il comparto drammatico si forgia sulla sempre credibile disumanità dell’uomo invece che su reiterate quanto noiose angherie.
È la figura paterna a meritarsi l’occhio di bue del nostro odio perché il suo ruolo evade lo schermo per farsi metafora attuale, e se il potere è l’immondizia della storia degli umani come dice il poeta, qui ne abbiamo un esempio quanto mai incisivo.
Il tutto porta ad una conclusione che comincia con la scena migliore del film in cui durante la visita della maestra assistiamo ad una pregevole alternanza di campi, e prosegue in un bagno di sangue dove resterete a bocca aperta per un colpo di scena che a prima vista potrebbe apparire un po’ pretestuoso ma che in seconda battuta getta ancora più merda sul padre e sulle sue azioni.
Le mie parole spero non siano travisate, ovvio che non ci troviamo di fronte ad un altro Dogtooth (2009), opera vicina all’esaustiva definizione del termine dispotismo, e lo si intuisce dalla cornice che è lontana da un cinema come quello di Lanthimos, ma proprio per questo è piacevolissimo rintracciare in quello che è solo (?) un horror segni e significati non rintracciabili in altri prodotti del genere.
The Woman è, insieme a Red White & Blue (2010), il mio film sull’America dell’anno proprio perché entrambi raccontano in un modo e di un mondo che non sembra l’America, invece lo è, e fa davvero paura.
Così, dopo che i due si erano sfiorati nel 2005 con The Lost, l’incontro vero e proprio è avvenuto grazie al thriller Red (2008) che risultava essere l’ultima prova di McKee nel lungometraggio fino a gennaio 2011, data in cui The Woman è stato presentato al Sundance.
L’incipit graffia: nel soave paesaggio fluviale irrompe una figura strana, nera, sporca, bestiale.
Cambio scena ed eccoci a bordo piscina in un party molto cool pieno di sorrisi e festoni, eppure accadono micro-eventi sospettabili: un dialogo tra il padre Chris e una vicina che vuole cambiare casa; il figlio che “si gusta” le prepotenze degli amici ai danni di una coetanea.
McKee getta nella prima manciata di minuti qualche indizio che si rivelerà prova con l’avvicendarsi della trama, la famiglia presa in esame è totalmente succube dell’autorità patriarcale, o meglio, l’assoggettamento è tale soltanto per chi appartiene alla sfera femminile, tanto che se si misurano gli indizi con adeguato metro, si scopre già dall’inizio, e poi sempre più marcatamente, di come ci sia una complicità tale tra padre-figlio che non è riscontrabile con gli altri componenti della famiglia.
L’andazzo sembra durare da tempo e basta leggerlo negli occhi di una dimessa (e notevolissima) Angela Bettis che subisce senza a né ba il volere del compagno, e tra i due la scena dello schiaffo diventa manifesto di una relazione insopportabile, per lei e per chi guarda.
Un altro termometro atto ad indicare la pessima situazione casalinga è dato dalla figlia maggiore, una altrettanto brava Lauren Ashley Carter, che non avendo il coraggio di esplicitare il peso che porta in grembo, si chiude a riccio in se stessa distanziandosi ancora di più dalla tirannia maschile, e dando perciò maggiore risalto alla cattiveria dell’uomo.
Questo è dunque il mondo (che dovrebbe essere) civile ivi rappresentato. L’impatto distruttivo lo si ha con l’entrata in scena della sauvages che porta con sé significati bisognosi d’analisi.
Innanzitutto la sua provenienza è un luogo d’Origine come un bosco, e nel cinema abbiamo visto quanto i grandi autori si siano affidati alla forza primigenia degli alberi per esplicitare contenuti.
In secondo luogo la donna in questione deve essere vista come La Donna, poiché non avendo nome si porta sulle spalle il peso di una categoria che nella Storia passata ha sempre dovuto lottare ottenendo poche meritate vittorie. In sostanza è quello che Medem avrebbe voluto fare con Chaotic Ana (2007) senza però avere la stessa efficacia di questo McKee che rispetto al suo collega avrà avuto molto meno tra le mani (e in tasca) su cui poter lavorare.
Infine La Donna sposta numericamente l’ago della bilancia verso il team delle girls perché senza contare la cucciola di casa si hanno due uomini e tre donne, per la serie l’unione fa la forza il marcio equilibrio fino a quel momento dominante è destinato a sfaldarsi.
L’osservazione di Elvezio Sciallis (link) sul fatto che a fare male non sono tanto le torture, comunque contenute, ma altri piccoli fatti che sommati creano la famigerata valanga, e che colpiscono più a fondo delle varie sevizie le quali non scivolano mai nella gratuità e non mostrano nulla se non due catene e una ciotola di cibo, è molto pertinente, per questo, oltre a trovare ampi consensi nel sottoscritto, il comparto drammatico si forgia sulla sempre credibile disumanità dell’uomo invece che su reiterate quanto noiose angherie.
È la figura paterna a meritarsi l’occhio di bue del nostro odio perché il suo ruolo evade lo schermo per farsi metafora attuale, e se il potere è l’immondizia della storia degli umani come dice il poeta, qui ne abbiamo un esempio quanto mai incisivo.
Il tutto porta ad una conclusione che comincia con la scena migliore del film in cui durante la visita della maestra assistiamo ad una pregevole alternanza di campi, e prosegue in un bagno di sangue dove resterete a bocca aperta per un colpo di scena che a prima vista potrebbe apparire un po’ pretestuoso ma che in seconda battuta getta ancora più merda sul padre e sulle sue azioni.
Le mie parole spero non siano travisate, ovvio che non ci troviamo di fronte ad un altro Dogtooth (2009), opera vicina all’esaustiva definizione del termine dispotismo, e lo si intuisce dalla cornice che è lontana da un cinema come quello di Lanthimos, ma proprio per questo è piacevolissimo rintracciare in quello che è solo (?) un horror segni e significati non rintracciabili in altri prodotti del genere.
The Woman è, insieme a Red White & Blue (2010), il mio film sull’America dell’anno proprio perché entrambi raccontano in un modo e di un mondo che non sembra l’America, invece lo è, e fa davvero paura.
uuuuuuuuh di questo film ho letto varie recensioni, mi sa che è giunto il tempo di recuperarlo ^_^
RispondiEliminaFallo arwen, non te ne pentirai! :)
RispondiEliminaIo sto aspettando che un certo quadrupede me lo consegni.
RispondiEliminaSono molto, molto curioso.
molto curioso anche io.grazie come sempre..
RispondiEliminagrandissimo film, inutile dire che è una delle visioni dell'anno: emblema di un certo mondo ma anche portatore di un messaggio di eversione.
RispondiEliminami ha letteralmente conquistato.
se lo dici tu allora ci credo :)
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