È opportuno partire da dove ci eravamo lasciati.
Xavier Dolan: è nata una stella?
Questo interrogativo, che sicuramente non vi avrà fatto dormire per notti e notti, va posto alla luce di un’opera seconda che si incarica, in linea teorica e anche a confronto con un ottimo esordio, di dare riconferma delle abilità mostrate in precedenza, con l’aggiunta, magari, di qualcosa in più che possa favorire maggiormente l’apprezzamento. È un discorso di aspettative, J’ai tué ma mère (2009) ha incontrato in chi scrive un convinto sostenitore, vuoi per le qualità proprie del film che ci sono, vuoi perché ritornando a quel discorso, chi l’ha diretto aveva solo vent’anni.
Xavier Dolan: è nata una stella?
Questo interrogativo, che sicuramente non vi avrà fatto dormire per notti e notti, va posto alla luce di un’opera seconda che si incarica, in linea teorica e anche a confronto con un ottimo esordio, di dare riconferma delle abilità mostrate in precedenza, con l’aggiunta, magari, di qualcosa in più che possa favorire maggiormente l’apprezzamento. È un discorso di aspettative, J’ai tué ma mère (2009) ha incontrato in chi scrive un convinto sostenitore, vuoi per le qualità proprie del film che ci sono, vuoi perché ritornando a quel discorso, chi l’ha diretto aveva solo vent’anni.
Pensando al fatto che Les amours imaginaires arriva soltanto 365 giorni dopo il primo film di Dolan, la mia stima nei confronti di questo giovanissimo rimane immutata tanto che sui difetti presenti si può chiudere un occhio per poi riaprirlo: Heartbeats scorre, si guarda, e piace.Chi è alla ricerca di innovazioni plottistiche è meglio che scelga altre strade filmiche perché il ragazzo nato a Québec lavora su una pietra che da molto ha oltrepassato la soglia dell’inflazione, ipocentro dell’opera è infatti un triangolo amoroso dove due amici di vecchia data (Monia Chokri e Dolan stesso) si innamorano di un angelico belloccio (Niels Schneider), il quale, come è intuibile dal titolo in francese, non se li fila neanche di striscio.
Le premesse sono queste e da qui non si sfugge, che lo si voglia o meno il menage a trois è la base della storia, ma invece di storcere il naso è a mio parere apprezzabile la voglia che Dolan ci mette nell’esposizione proponendo vie alternative e parecchio personali. Principalmente agisce di scalpello nell’area-scrittura sottraendo alla sceneggiatura momenti solitamente rapiti dalla mdp in una relazione sentimentale e qui felicemente ovviati: elementi cardine come l’incontro, la conoscenza reciproca, l’infatuazione, il tormento e il distacco, pur seguendo il classico schema del genere, ci vengono trasmessi attraverso anche singoli piani piuttosto che con un intreccio di sequenze; solo un esempio in mezzo a molti altri: quando all’inizio Marie e Francis tagliano la verdura, lui alza la testa in direzione di Nicolas, ciò è un lodevole suggerimento per comunicarci l’inizio dell’interesse verso il biondo giovine.
Ritornando a J’ai tué ma mère e al tema della riconferma, si può prendere atto del distaccamento personale da parte di Dolan che non trovandosi più a maneggiare un (semi)biopic, è costretto a rinunciare a quell’Io=tutto, e così al posto di un atteggiamento impetuoso viscerale nonché giustamente (per l’età) irrazionale, si sostituisce una condotta più pacata per un personaggio decisamente meno naif, bravo Xavier nel cambiare tono, ma si perde un po’ di appeal nel tragitto.
Parliamo dunque di un film più impaginato rispetto a quello che l’ha preceduto, perciò non sfuggirà la geometria della struttura costituita da blocchi che si ripetono:
blocco-intervista (retaggio dell’esordio)
blocco-storia (la narrazione che, come detto, si affida principalmente all’immagine)
blocco-bang bang (la voce di Dalida che diventa simbolo del film)
blocco-letto (luci alienanti con successivo ralenti)
Se ne deduce che l’attenzione verso il comparto estetico è notevole e non può che far piacere.
La mia opinione è che con un soggetto così banale non era facile cavare un qualcosa che non grondasse miele né si ammorbasse di facile sentimentalismo, l’obiettivo di offrire un vestito diverso per vetusti topoi è stato raggiunto, può garbare o meno ma di questo è doveroso prendere atto.
Se sia nata o meno una stella è presto per dirlo, un luccichio, però, sicuramente c’è.
Parliamo dunque di un film più impaginato rispetto a quello che l’ha preceduto, perciò non sfuggirà la geometria della struttura costituita da blocchi che si ripetono:
blocco-intervista (retaggio dell’esordio)
blocco-storia (la narrazione che, come detto, si affida principalmente all’immagine)
blocco-bang bang (la voce di Dalida che diventa simbolo del film)
blocco-letto (luci alienanti con successivo ralenti)
Se ne deduce che l’attenzione verso il comparto estetico è notevole e non può che far piacere.
La mia opinione è che con un soggetto così banale non era facile cavare un qualcosa che non grondasse miele né si ammorbasse di facile sentimentalismo, l’obiettivo di offrire un vestito diverso per vetusti topoi è stato raggiunto, può garbare o meno ma di questo è doveroso prendere atto.
Se sia nata o meno una stella è presto per dirlo, un luccichio, però, sicuramente c’è.
il precedente i killed my mother non mi aveva convinto, però il potenziale mi sembrava ben presente nel ragazzo e quindi per quanto riguarda questo sono piuttosto fiducioso...
RispondiEliminaDa guardare senza riporre grandissime aspettative.
RispondiEliminaper me stupendo!
RispondiEliminaun'autentica rivelazione.
il suo primo film mi era sembrato troppo melodrammatico, questo invece è molto più leggero. e così allo stesso tempo riesce anche a essere più profondo. le scelte della colonna sonora poi sono grandiose
stella o non stella, a questo punto la curiosità per il terzo film che sta già girando è alle stelle...
Sono contento del tuo entusiasmo, aldilà del "piace non piace" credo che Dolan sia un regista che già oggi vale, e il futuro non può che sorridergli.
RispondiEliminaJ'ai tué ma mère secondo me è un dramma generazionale maturissimo per un ragazzo di 19 anni, Les amours imaginaires una riflessione così lucida sull'amore... Dopo averlo visto la prima volta non riuscivo a credere che un ragazzo di 21 anni fosse capace di fare un film così dimostrando di aver capito così tanto dell'amore, forse più di me che ne ho 28:)
RispondiEliminaNon so se sia un discorso da fare, però ho idea che il suo orientamente sessuale abbia un'influenza non da poco.
RispondiEliminaE' qualcosa che va oltre la "sensibilità gay" per sondare il vissuto sentimentale che, presumibilmente, è, per motivi facilmente comprensibili, ancora più sofferto di un amore etero.