Per impostazione e contesto ispanico viene quasi automatico pensare a En construcción (2001), ci sono evidenti differenze, geografiche: Barcellona, e pratiche: perché l’opera di Guerín, come da nome, aveva l’intenzione di esporre un processo di edificazione urbano andando poi a captare qualche affluente esistenziale che passava di lì, quella di Moreno, viceversa, si concentra su una destrucción, su uno smantellamento riprendendone, seppur in maniera non accuratissima, i diversi passaggi che portano i detriti fino alla discarica. Però la radice dei due lungometraggi è proprio similare, si tratta in entrambi i casi di porre il cinema in un cantiere e di far sì che arrivi allo spettatore una realtà scevra di inutili filtri. Rispetto al successivo La ciudad oculta, Edificio España è un oggetto decisamente più grezzo, e su questo credo non ci siano dubbi, lo si apprende dalle protratte sequenze con camera a mano traballante, da certi tagli un po’ repentini, dalla scelta di affidarsi solo alle luci naturali e soprattutto dalla mancanza di una matrice estetica davvero incisiva. Però, pur mancando di “bellezza”, il film include e dirama una genuinità da non disprezzare, nella rassegna di esseri umani che orbitano intorno all’edificio, nella maggior parte dei casi muratori, addetti alla sicurezza e tecnici vari, c’è spazio anche per narrazioni che esulano dall’illustrazione: c’è la storia di un fantasma e quella di un’intera vita passata in un appartamento. Non una proiezione trascendentale ma vedere queste laboriose cellule con caschetto intente a rivitalizzare un gigantesco corpo morto fatto di cemento armato, non è, come si abusa dire, così male.
Ultima cena - Tomás Gutiérrez Alea
11 ore fa
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