Onestamente non ricordo
come ero arrivato a The Children of Leningradsky
(2005), forse dopo la lettura di Besprizornye. Bambini randagi
nella Russia sovietica
(1917-1935) (Adelphi,
2019) avevo fatto qualche ricerca in Rete ed ecco che era spuntato il
documentario di Andrzej Celinski e Hanna Polak, o forse, come spesso
accade, era stato lui a trovare me comparendo in una lista presa
dagli oscuri anfratti di Internet. Comunque sia andata devo comunicare che purtroppo
non sono molto felice dei trentatré minuti passati in compagnia di
questo film, alla base del mio scarso gradimento c’è una
confezione che sembra appartenere ad un’altra epoca e, beninteso,
avrei detto la stessa cosa anche se lo avessi visto nel suo anno di
uscita. Inutile girarci in giro: è un prodotto televisivo, anche se
mostra una realtà durissima fatta di degrado, abbandono, droga e
prostituzione, il taglio generale fornito dai due registi polacchi
mira ad una accessibilità che possa arrivare ai più avvalendosi
della frontalità delle immagini, al loro impatto sullo spettatore.
Tralasciando la qualità video mal invecchiata a causa di quel
digitale degli anni zero che oggi ci risulta quasi giurassico, la
costruzione del corto è esclusivamente mirata all’esibizione del
dramma in cui affoga l’esistenza di questi bambini randagi, le
interviste alternate a scampoli della loro complicata vita,
diventano, me lo si passi, uno show privo di reale, e quindi sì, ciò
che più al sottoscritto è mancato è stata una verità nella
visione.
Allora,
non è che mi aspettassi di ritrovare un monolite post-sovietico à
la Artour Aristakisian né
potevo attendermi chissà quali sconvolgenti innovazioni visto che
parliamo di un’opera che finì nell’orbita degli Oscar, però io
so che il cinema ha in sé una forza radicale e quando mette bene a
fuoco un argomento può essere letteralmente devastante, in The
Children... si è lontani da un
tale trasporto e la cosa fa incazzare perché qui la tematica è
bella densa (ah, non l’ho ancora proferito: si parla di ragazzini
soli al mondo che vivono nei pressi di una stazione metro moscovita)
e c’era la possibilità di lasciare un segno molto più profondo. E
visto che ho aperto il commento citando un libro, chiudo riportandone
un altro: I poveri (minimum
fax, 2020) di William T. Vollmann che non tratta direttamente di
adolescenti allo sbando ma che nel suo reportage romanzato sugli
ultimi del pianeta sfiora le sorti di una famiglia russa in balia del
proprio destino. È un gran bel libro di un gigante della letteratura
contemporanea, accaparratevelo.
Nessun commento:
Posta un commento