domenica 30 gennaio 2022

El mar nos mira de lejos

El mar nos mira de lejos (2017), per Manuel Muñoz Rivas “il mare ci guarda da lontano”, e ciò che vede ce lo mostra questo regista nato a Siviglia che in realtà regista non è, nel suo curriculum infatti prevale la professione di montatore che gli ha permesso di collaborare con registi sulla carta molto interessanti tra i quali spicca il nome di Mauro Herce, qui sceneggiatore e direttore della fotografia, al pari di Muñoz Rivas che dal canto suo montò al collega l’ottimo Dead Slow Ahead (2015). Ma torniamo al mare: nello specifico del film è quello che si trova poco più in là dello stretto di Gibilterra nei pressi di una località balneare chiamata Matalascañas, meta vacanziera dell’autore stesso che ha approfittato delle numerose visite per perlustrare i sabbiosi dintorni ed entrare in contatto con i solitari esseri umani che li abitano. Ne è uscito fuori un film di dune e salsedine con un’impostazione visiva eccellente accentuata dal taglio ostinatamente contemplativo voluto da Muñoz, c’è l’ambiente a metà strada tra il desertico ed il lunare, c’è l’insistenza nel soffermarsi sui paesaggi circostanti propria di un cinema che ama connettere la natura con l’umanità, come se la prima fosse l’incarnazione dell’altra o viceversa, come se l’eccezionalità del luogo, isolato, a parte, trovasse concreto parallelo nei residenti di quelle baracche sulla spiaggia, soli, ritirati, lontani. Il nesso è inscindibile ed anche se la settima arte ci ha già fatto vedere ritratti del genere con modalità di trasmissione equiparabili, l’alta manifattura che sostanzia El mar nos mira de lejos è una cura che lenisce qualsivoglia impressione derivativa.

Documentario di contemplazione ma non solo. Muñoz ed Herce instillano elementi che non mi sentirei di bollare come finzionali e che al contempo non possono rientrare nel registro del reale. La prima goccia che cade sul girato e che ritorna con discreta regolarità durante la proiezione riguarda l’innesto di un filo narrativo raccontato da una voce esterna che si annoda nel tempo, che si perde nella bruma del passato (ad un certo punto compaiono in serie delle affascinanti fotografie in bianco e nero) e che implementa una percepibile filigrana magica, poi ci sono degli accenni che si concentrano principalmente su un ragazzo figlio di un pescatore, la sua presenza sullo schermo segna il punto di massima incrinatura dell’apparato documentaristico perché è il protagonista di un’amicizia (o forse di qualcosa che lui vorrebbe andasse oltre) con una ragazza, l’unica donna in un mondo esclusivamente maschile, e tali maschi si manifestano in video nel loro guscio impenetrabile (perché uno riempie una carriola di sabbia per svuotarla poco più in là?) foriero di un mistero che è bene non venga inquinato così come l’essenza enigmatica che costituisce l’opera. Al di là della traccia ascetica si hanno dunque dei segnali da cogliere che per chi scrive non possono che essere arricchenti, e lo sono non tanto per arrivare ad una comprensione totalizzante quanto per ingemmare i recettori del sentire, per bersagliare di input l’ovulo della suggestione, il tutto accettando il compromesso di confrontarsi nel recinto meditativo in cui El mar nos mira de lejos è auto-asserragliato, chi non starà a queste condizioni non durerà nemmeno dieci minuti.

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