giovedì 23 agosto 2018

Fuck for Forest

È immaginabile che il regista polacco Michał Marczak si sia interessato al progetto Fuck for Forest spinto da una curiosità che era e sarà la stessa di una qualunque altra persona che ha sentito o sentirà parlare di questa “particolare” associazione, con la differenza che Marczak campa facendo cinema e di sicuro, qui, l’avvertibile potenziale filmico deve averlo fatto spostare fino a Berlino, centro nevralgico di FFF. Che cosa sia e che cosa faccia tale organizzazione è riassumibile in una dicitura che all’incirca le rende giustizia: si tratta di un gruppo di porno-ambientalisti che professano, praticano e mettono in Rete una sessualità libera con lo scopo di racimolare denaro da reimpiegare in campagne à la Greenpeace con tanto di fundraising sempre attivo sul loro sito (link). L’idea di Tommy e Leona, i due storici fondatori, è paradossale ma comunque funzionante poiché come Fuck for Forest (2012) ci mostra la comune tardo-hippie riesce davvero a tirare su dei buoni gruzzoletti, e prima di qualunque valutazione emerge un forte carattere distintivo dell’attuale società iperconnessa: le persone che infatti hanno comprato il materiale messo a disposizione sul portale di FFF non hanno sicuramente a cuore le sorti del pianeta, l’epoca di Internet che ha ricalibrato il concetto di voyeurismo fa sì che gli esseri umani non paghino nemmeno più per fare sesso, ma paghino per vedere qualcun altro che lo fa, ne consegue così che nell’ottica di FFF l’onanismo, seppur indirettamente, potrebbe salvare un pezzettino di mondo, ecco allora che con una proposta del genere, provocatoria finanche divertente, il collettivo di alternativi ne esce fuori meglio di quanto a prima vista possa sembrare.

Per quanto concerne l’effettività del film in oggetto, Marczak divide l’opera in due tronconi dove nel primo assistiamo ad una presentazione dei vari componenti unita ai tentativi di raggranellare soldi in giro per Berlino, mentre nel secondo, con la traversata atlantica verso l’Amazzonia, si concretizza, anche se non pienamente, il loro afflato utopistico. Registriamo la mera cronaca degli eventi che il regista ci offre senza particolari accorgimenti, molta camera in spalla e camminare, interessanti, comunque, alcune riprese notturne (sia in Europa che in Sud America) capaci di dare un tocco lisergico al tutto. Senza picchi indimenticabili Fuck for Forest trova nel proprio finale il suo migliore momento perché i colorati punkabbestia devono fronteggiare un pericolo ben più incombente della deforestazione: il disincanto provocato dalla realtà, a tu per tu con gli abitanti del posto i sogni, e quindi ciò in cui credono, si frantumano. È un incontro/scontro che fa piacere vedere all’interno del documentario poiché dona un minimo di spessore in più: gli ideali stingono e gli illusi vengono sconfitti sul campo [1] (durante la riunione compare un venditore intento a piazzare, ironia della sorte, quelli che mi sono sembrati dei decespugliatori o qualcosa di simile [2], inutile dire che gli astanti, anche per motivi linguistici, prestano maggiore attenzione al mercante che a Tom), ma onore al loro essere così bislacchi e “diversi”, eroi del niente, paladini sballati di cause giuste.
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[1] Non in toto, FFF è ad oggi ancora vivo e vegeto e a quanto dice la relativa pagina di Wikipedia (link) l’accordo di aiuto con gli indigeni è poi andato in porto.

[2] No. Non sono per niente sicuro di cosa sia quell’oggetto, il mio spagnolo scolastico non arriva fin lì. Comunque è un oggetto moderno, innaturale, che stona con i propositi del meeting.

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