Una volta terminato, Tropical Malady (2004) lascia senza parole.
Per trovarne un paio ci ho messo qualche giorno, e quel che ne segue è l’inutile risultato.
Lo spettatore che si trova di fronte al cinema di Weerasethakul è né più né meno come il soldato che alla fine del film osserva la maestosa tigre sopra di lui. Sopra.
Questo cinema è sopra, oltre e al di là di noi occidentali. Guardiamo la tigre con rispetto, con paura, con devozione, e non la capiamo, soprattutto: non la conosciamo. È un mostro? No, è un animale splendido, statuario, imponente, massiccio, e nonostante questo in grado di stare con leggiadria sul sottile tronco di un albero, che strano!, appare pesante ma a conti fatti non lo è, forse è la sua bellezza, forse è lo sguardo rivolto verso chi la guarda che ci fa comprendere, ancora una volta, che non siamo noi a guardare il cinema, ma è lui a guardare noi, e mai come in questo caso gli occhi della tigre superano i bulbi oculari e penetrano dentro, non un dentro qualunque, IL dentro, quello dove riposa lo spirito, o qualcosa che gli va vicino, perché nel vecchio continente di queste cose non siamo molto pratici e allora non possiamo fare altro che subire, non possiamo fare altro che una tigre, che il cinema di un regista dal nome impossibile che fa film altrettanto impossibili, ci attraversi come se fosse un fantasma, e nel successivo momento in cui ci lascia, l’assenza viene compensata dai suoi ricordi.
E questo è un suo ricordo:
MALADY LOVE
La mia casa di legno a due passi dalla giungla. Incontro Keng lì e subito me ne innamoro.
Anzi no, probabilmente lo amavo già da prima, in un’altra vita raccontata altrove, ma oggi, ammesso che il presente abbia un senso, sono qui con lui e insieme siamo felici perché così deve essere. E la felicità nasce nelle piccole cose: mi insegna a guidare un camion così magari troverò un lavoro, sa che musica ascolto e mentre diluvia mi regala una cassetta, vado dal veterinario perché il mio cane, poverino, ha un tumore, ed è con me, non so compilare un modulo e lui mi aiuta, una cantante gli dedica una canzone e io rido, quasi orgoglioso, tanto che timidamente salgo sul palco e inizio a cantare guardandolo, al cinema, poi, siamo vicini e pur senza staccare gli occhi dallo schermo i nostri cuori si uniscono diventando uno solo, allora scrive su un biglietto “mi piaci tantissimo”, gli innamorati non pensano alle conseguenze, agiscono e basta, ed anche in un’escursione al tempio, sotto gli occhi delle divinità immortali, riusciamo a sfiorarci come fanno le farfalle quando si rincorrono in volo.
Siamo felici, sono felice! Lo penso andare in moto col sorriso sulle labbra, l’armonia gonfia le nostre orecchie nonostante un tizio venga pestato a sangue sul marciapiede e nonostante il suo lavoro, l’esercito, abbia bisogno di lui.
È tutto perfetto, ma adesso devo tornare da dove vengo, dal cuore della foresta.
Sì, è bello amare. È bello ricordare.
La tigre/cinema è sempre lì, inevitabilmente sopra, e dice che ogni goccia del suo sangue canta la nostra canzone. Una canzone di gioia.
Ed è vero, io umile spettatore ho sentito tutto, e a mia volta, in quelle lucciole di anima dentro l’albero, ho rivisto la mia canzone, mia e di Apichatpong, che fa così:
Mysterious Object at Noon/Blissfully Yours/The Adventure of Iron Pussy/Syndromes and a Century.
É bello rivivere il ricordo, guardando(si).
Per trovarne un paio ci ho messo qualche giorno, e quel che ne segue è l’inutile risultato.
Lo spettatore che si trova di fronte al cinema di Weerasethakul è né più né meno come il soldato che alla fine del film osserva la maestosa tigre sopra di lui. Sopra.
Questo cinema è sopra, oltre e al di là di noi occidentali. Guardiamo la tigre con rispetto, con paura, con devozione, e non la capiamo, soprattutto: non la conosciamo. È un mostro? No, è un animale splendido, statuario, imponente, massiccio, e nonostante questo in grado di stare con leggiadria sul sottile tronco di un albero, che strano!, appare pesante ma a conti fatti non lo è, forse è la sua bellezza, forse è lo sguardo rivolto verso chi la guarda che ci fa comprendere, ancora una volta, che non siamo noi a guardare il cinema, ma è lui a guardare noi, e mai come in questo caso gli occhi della tigre superano i bulbi oculari e penetrano dentro, non un dentro qualunque, IL dentro, quello dove riposa lo spirito, o qualcosa che gli va vicino, perché nel vecchio continente di queste cose non siamo molto pratici e allora non possiamo fare altro che subire, non possiamo fare altro che una tigre, che il cinema di un regista dal nome impossibile che fa film altrettanto impossibili, ci attraversi come se fosse un fantasma, e nel successivo momento in cui ci lascia, l’assenza viene compensata dai suoi ricordi.
E questo è un suo ricordo:
MALADY LOVE
La mia casa di legno a due passi dalla giungla. Incontro Keng lì e subito me ne innamoro.
Anzi no, probabilmente lo amavo già da prima, in un’altra vita raccontata altrove, ma oggi, ammesso che il presente abbia un senso, sono qui con lui e insieme siamo felici perché così deve essere. E la felicità nasce nelle piccole cose: mi insegna a guidare un camion così magari troverò un lavoro, sa che musica ascolto e mentre diluvia mi regala una cassetta, vado dal veterinario perché il mio cane, poverino, ha un tumore, ed è con me, non so compilare un modulo e lui mi aiuta, una cantante gli dedica una canzone e io rido, quasi orgoglioso, tanto che timidamente salgo sul palco e inizio a cantare guardandolo, al cinema, poi, siamo vicini e pur senza staccare gli occhi dallo schermo i nostri cuori si uniscono diventando uno solo, allora scrive su un biglietto “mi piaci tantissimo”, gli innamorati non pensano alle conseguenze, agiscono e basta, ed anche in un’escursione al tempio, sotto gli occhi delle divinità immortali, riusciamo a sfiorarci come fanno le farfalle quando si rincorrono in volo.
Siamo felici, sono felice! Lo penso andare in moto col sorriso sulle labbra, l’armonia gonfia le nostre orecchie nonostante un tizio venga pestato a sangue sul marciapiede e nonostante il suo lavoro, l’esercito, abbia bisogno di lui.
È tutto perfetto, ma adesso devo tornare da dove vengo, dal cuore della foresta.
Sì, è bello amare. È bello ricordare.
La tigre/cinema è sempre lì, inevitabilmente sopra, e dice che ogni goccia del suo sangue canta la nostra canzone. Una canzone di gioia.
Ed è vero, io umile spettatore ho sentito tutto, e a mia volta, in quelle lucciole di anima dentro l’albero, ho rivisto la mia canzone, mia e di Apichatpong, che fa così:
Mysterious Object at Noon/Blissfully Yours/The Adventure of Iron Pussy/Syndromes and a Century.
É bello rivivere il ricordo, guardando(si).
bellissima recensione sei sempre più bravo..a me è piaciuto assai...sia il film che la rece..ciao carissimo
RispondiEliminaGrazie brazzz, troppo gentile come sempre.
RispondiEliminanon sono affatto gentile è che scrivo quel che penso...
RispondiEliminail film è vergognoso.
RispondiEliminaNoi occidentali non lo capiamo? sai il successo che ha avuto in patria questo film?
Che ci avete trovato di bello?
Sì, è vergognosamente bello.
RispondiEliminaquesto commento è quasi più profondo della recensione.
EliminaGià il fatto che tu la consideri una recensione mi solleva, io, ad esempio, non riesco a farlo.
EliminaComunque, notando che la non-profondità sembra essere una qualità che attira anche i commentatori, potresti dirmi quali sono gli aspetti negativi che hanno afflitto la tua visione. Io, intanto, ti dico quelli che invece hanno sollevato la mia.
W. è un regista enorme perché, nel cinema recente, ha scombinato le carte in tavola disarmando l'occhio. Ha riplasmato le prassi consunte della narrazione e, di riflesso, ha modificato quelle della visione. L'atto coraggioso se non folle di spaccare letteralmente un film in due, di viaggiare perciò su due binari paralleli contenuti in un unico flusso argomentativo, è per noi occidentali difficilissimo da poter accettare, e tu Ruoma, permettimi di dirlo magari sbagliando, ne sei un esempio. Ci sono dei deficit culturali verso le realtà asiatiche che sono indicibili, si tratta davvero di altri mondi basati su assiomi alieni; dalla letteratura al cibo, dagli usi alla religione, tutto, o molto, ci è estraneo. Ma ritengo che sia proprio qui il punto: avvicinarsi al cinema di W. è un'occasione d'oro per rapportarsi nei confronti di una mastodontica manifestazione d'alterità. Poi certo, la libertà di giudizio è sacrosanta, e già il fatto che tu ci abbia provato è una cosa apprezzabile.
Per quanto riguarda TM, a mio avviso è un capolavoro perché sintetizza i concetti espressi qua sopra, e in più squaderna la forza disorientante di questo autore che ad ogni film ti denuda e ti lascia incredulo, un po' come di fronte alla scena dell'albero illuminato, che, spero ne converrai, è un'immagine penetrante.
E comunque usare come metro di giudizio il successo o insuccesso autoctono è un'operazione mooooolto pericolosa, l'Italia docet...
Guarda ti ringrazio per la risposta, quello che intendevo io è che non ha trovato consenso di pubblico nel suo paese e che quindi come non l'ho capito io che sono occidentale manco molti connazionali del buon W. l'hanno capito; poi per chiarire prima di guardare il film sapevo a cosa andavo incontro: un film che ha avuto riconoscimenti dalla critica ma molto poco conosciuto e apprezzato dal pubblico (infatti questa è una delle poche recensioni in italiano sul film che ho trovato in rete).
EliminaA mio avviso non si può ogni volta che un artista (o presunto tale) ribalta le carte in tavola, si oppone agli schemi correnti gridare al capolavoro: ciò è buono e giusto ma non basta da solo, serve sempre un qualcosa che permetta, allo spettatore in questo caso, di entrare in empatia con l'opera. Le due storie non procedono in parallelo, alternandosi oppure sovrapponendosi, ma sono sequenziali tra di loro, rigidamente staccate da quei pochi secondi di schermo nero: l'unico collegamento esplicito tra le due parti sono i volti dei due protagonisti e il "mostro", solo nominato nella prima. Il mio giudizio personale sulla prima parte è davvero impietoso, una storia d'amore omosessuale senza particolare interesse. La seconda parte è più interessante (probabilmente solo perchè più misteriosa) ma non arriva mai a concretizzarsi, rimane sospesa fino in fondo, fino a quando appare la tigre sull'albero che chiude il film: un'immagine sicuramente evocativa ma che di certo non mi denuda e non mi lascia per nulla incredulo.
Ora con questo commento non voglio (e non credo sia possibile) farti cambiare idea, ci tengo solo a spiegare meglio la mia avversione al film e il mio commento iniziale che a sua volta cercava di esprimere il mio disaccordo nei confronti della recensione (se vuoi la chiamo commento, pensieri liberi a proposito di un film, come ti piace).
Un saluto.
Capisco capisco. Ci sta la tua repulsione nei confronti del film se ti poni in questi termini. Se posso fare l'avvocato di W. arringo dicendo che per lui come per altri orientali (faccio sempre l'esempio di Tsai) è necessario vedere, o almeno venire a conoscenza del fatto che oltre alla singola pellicola c'è una filmografia dietro dotata di grandissima coerenza, di un discorso concentrato, mirato, oculato ad esporre quegli argomenti che sono sempre gli stessi e al contempo sempre diversi. Ora, non so se tu abbia visto altro di questo regista, se sì allora il discorso finisce nel de gustibus, se no credo possa essere utile sapere che TM dialoga in maniera stretta con Lo zio Boonmee, che a sua volta strizza l'occhio a Blissfully Yours e così via. Insomma, più che di un film, qui si parla di cinema, e che poi non ci sia empatia, coinvolgimento, emozione, sono d'accordo, ma, mi ripeto, il soggetto è il cinema e tralasciando il rapporto con lo spettatore (importante sì, in casi come questo un po' meno), con Weerasethakul giunge ad un livello di stratificazione e, miracolo, di illuminazione che trasforma la proiezione in mistica esperienza.
EliminaUn saluto anche a te.