mercoledì 11 maggio 2022

Ossudo

Si è appurato con i due cortometraggi 42,195 Km (2010) e O Jogo (2010) che il Júlio Alves pre-A Casa (2012) era ancora un regista alla ricerca di una propria identità, quindi non sorprende il fatto che visionando un suo lavoro ancor più antecedente vi sia la conferma di una traiettoria artistica acerba e un po’ spuntata. Questo Ossudo (2007) ha come set un qualche Paese africano (visto che si parla portoghese sarà Capo Verde?) immerso in una miseria dove uno dei suoi tanti figli, un povero diavolo che vive su una panchina, si sta riducendo ad essere tutto ossa e poca pelle. La scelta stilistica che Alves compie è bizzarra (e, ad oggi, non ripetuta), se nei crediti iniziali piazza alcune immagini di stampo documentaristico del luogo, nello spazio infinitesimale tra un frame e l’altro trasforma la realtà in una rappresentazione animata. Ossudo è un oggetto d’animazione ma, forse per delle mancanze insite già all’origine, o forse per il periodo di tempo intercorso, la tecnica utilizzata non brilla affatto per estetica, è uno strano mescolamento di 2D e 3D che risulta superato ai nostri occhi: esigua fluidità nei movimenti delle figure, scarsa espressività facciale, fondali non particolarmente curati, palette di colori monocromatica, no, non esattamente una patina che ti spinge a dire “wow”.

Non riesco nemmeno a spendere un giudizio positivo sul racconto che, permettetemi lo sciocco gioco di parole, è ridotto all’osso, non tanto nella triade premessa-sviluppo-conclusione che è inevitabilmente limitata vista la sua collocazione short, quanto nel senso che vuole recapitarci. Trattasi di storiella che vuole mostrare un’umanità esistente anche in un mondo lontano dall’occidente, e lo fa trovando in Marlisa una figura quasi angelica (o magari perfino funerea, l’apertura interpretativa sul suo personaggio è l’unico aspetto che smuove il corto) che accompagna verso la morte il protagonista. Situazione triste e malinconica ma è poco, troppo poco per accendere un briciolo di interesse. 
Ad una rapida panoramica dei titoli brevi di Alves, Ossudo e i due citati in cima, si registra la tendenza dell’autore lusitano nel privilegiare il messaggio di fondo piuttosto che il canale con cui viene trasmesso. Grave errore poiché tali messaggi, seppur “giusti”, nobili e quel che si vuole, perdono efficacia se posti in un deficitario protocollo formale. Fortunatamente Alves in futuro cambierà andazzo scrollandosi via qualsivoglia retaggio “da parabola”.

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