venerdì 2 ottobre 2020

Santa Cruz del Islote

Come da titolo, soggiorniamo per un breve periodo sull’isoletta in questione, un agglomerato di case sul pelo dell’acqua colombiana che possiede un primato non troppo invidiabile per noi agiati turisti occidentali, quello di avere una densità abitativa tra le più alte al mondo, ed il tour operator che si è occupato dell’organizzazione tecnica del viaggio è l’esordiente Luke Lorentzen il quale si impegna nei venti minuti a disposizione di offrirci un giro completo dell’atollo mostrandone le principali caratteristiche. Vista una permanenza insufficiente per poter almeno tentare di penetrare nella calura del pueblo, nel suo spagnolo danzante (e altri colleghi ci avrebbero perfino potuto fare un lungometraggio visto il materiale trattabile), dobbiamo mestamente accontentarci del depliant illustrativo. Lorentzen si concentra su alcuni punti della vita isolana e li pone in serie alternandoli tra loro, si parte con un pedinamento tra le baracche avvicendato poi da parentesi scolastiche e da riprese in mare (sopra e sotto) durante le battute di pesca, coniugate a ciò vi sono inoltre fuggevoli istantanee locali inserite nella rotta esplorativa, diciamo che l’itinerario è fin gradevole sebbene non raggiunga mai, e sottolineo mai, i requisiti per trasportare il visitatore al di là di quanto viene fatto vedere.

Alibi al novello regista gliene possiamo dare più d’uno, d’altronde il ragazzo mette ordinatamente in pratica gli insegnamenti ricevuti all’Università (non ci sono sbavature evidenti, dall’impiego delle musiche alle scelte di montaggio [la scena in aula e quella dove il bambino gioca con le macchinine sono sequenze in cui si percepisce uno studio soppesato]), resta però il fatto che svolgendo solo il tipico compitino da bravo scolaro si allontana, e di parecchio, la possibilità di fornire un carattere distintivo al film. Paradossalmente Santa Cruz del Islote (2014) pur ostentando l’appartenenza al posto ripreso fin dal proprio nome, non ne coglie l’essenza limitandosi a registrare la superficie al punto che, in fondo, potremmo trovarci in una qualunque altra località ispanica affacciata sull’Oceano. Se a volte chi scrive ha spesso indicato l’afflato universale come pregio di un’opera, per il lavoro di Lorentzen le cose stanno nei termini opposti: disattendendo le premesse il documentarista del Connecticut ha generalizzato nominalmente una comunità, un crogiuolo illimitato di storie, stampandola su una locandina da appendere al massimo sulla vetrina di qualche agenzia turistica.

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