lunedì 26 ottobre 2020

The Artificial Humors

Strano tipo Gabriel Abrantes e strano il suo cinema, Os Humores Artificiais (2016) non solo è coevo di The Hunchback (2016) ma condivide con esso la sostenibilità di una tecnologia del futuro (non troppo lontano) applicata al nostro mondo, non è fantascienza ma vien da affermare che comunque, in parte, lo sia, e inoltre l’autore portoghese non si fa mancare una spolverata della sua stramba ironia che dà più d’una sfumatura stravagante al corto. Constatata la direzione registica del solo Abrantes (è una rarità, di solito si è sempre fatto accompagnare da qualche collega), scopriamo di trovarci in un villaggio brasiliano vicino al Mato Grosso, l’elemento per così dire anacronistico è dato da una sorta di drone senziente che è stato programmato per leggere le emozioni delle persone che gli stanno davanti. Il design di Andy Coughman (questo è il nome del robottino e vista la piega che prenderà la storia potrebbe anche essere un omaggio al comico americano Andy Kaufman) sembra essere un qualcosa partorito dai furbacchioni della Pixar (piccolo ma con degli occhioni belli grandi) che, unito al doppiaggio di una voce infantile, delinea la conformazione di un androide ovviamente umano seppur non antropomorfo, perché ciò che conta, del resto, è quello che si sente e non quello che si è, da qui il percorso che viene appunto definito d’“educazione sentimentale” diventa in realtà una fiaba d’amore che oscilla tra un’impostazione tradizionale ed un relativo manifestarsi alquanto bislacco perché Abrantes giochicchia, si nasconde, sfilaccia la narrazione per riannodarla in preparazione del finale.

Il centro dell’opera si situa nella sfera emotiva provata dalle persone ed è carino il collegamento che Abrantes mette in campo per vivacizzare la situazione, in pratica Andy attraverso una scannerizzazione ottica riesce a stabilire lo stato d’animo di chi è nel suo radar visivo, ad un certo punto però è lui stesso a farsi oggetto di analisi perché, semplicemente, si innamora di una ragazzina del posto. Non credo che nelle mire del regista ci fosse l’intenzione di aprire un dibattito a proposito dei confini gnoseologici di un’intelligenza artificiale, tra l’altro il titolo scherza un poco sull’argomento e sull’ambiguità dei sentimenti di Andy, ovvero: una palla di circuiti che ama davvero (?), diciamo che tali riflessioni arrivano più per sforzo interpretativo che per reale trattazione nello schermo, anche perché Abrantes con la riprogrammazione di Coughman approda in un terreno da commedia che lascia qualche perplessità nell’area scritturiale, come se, in una ipotetica visione rovesciata, Louis C.K. finito un suo monologo ingaggiasse un duello con tanto di spada-laser (sì, è un parallelo imbarazzante, chiedo scusa). La svolta in star della comicità per Andy pare mettersi al servizio di una sola necessità: sancire il distacco con Jo ricucito giustappunto nell’happy end (con un dubbio: forse me lo sono perso, ma come faceva il robot a sapere che Jo era proprio lì?), però un’osservazione del genere è coagulata dalle maglie autoriali del lusitano, uno capace di infondere nel film una amabilità che solitamente risiede nei prodotti animati unita ad una balistica sbilenca, a fuoco nel suo non essere a fuoco, anche questa penso sia una qualità.

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