mercoledì 30 settembre 2020

Los motivos de Berta

La fanciullezza di Berta nella recondita campagna spagnola, tra i giochi con un coetaneo e la curiosità verso un uomo solitario residente in un casolare semi abbandonato.

Los motivos de Berta (1984) è il primo lungometraggio di un all’epoca ventiquattrenne José Luis Guerín, e, a rivedere oggi questo film girato nei pressi di Segovia, l’impressione è che gli anni passati lo abbiano fatto invecchiare parecchio, tanto che (ma potrebbe anche essere che la copia rinvenuta dal sottoscritto, non in condizioni ottimali, abbia alterato la percezione) sembrerebbe da un punto di vista estetico antecedente agli anni ’80. Sia come sia, parliamo comunque di un debutto e quindi sarà inevitabile dover fare i conti con la bilancia dei pregi e dei difetti, indubbiamente Guerín si dimostra al tempo già attento a forme espressive non concilianti con i ritmi commerciali, questa è una pellicola lenta, piena di silenzi, che si dedica alla composizione di un quadro umano-paesaggistico dalle note temperate, campi lunghissimi sui prati di granoturco, cieli, nuvole, ruscelli, colline, vento, è un’istantanea che porta avanti una certa delicatezza, lo scenario perfetto per una soffice storia di infanzia se non fosse che Berta, la nostra protagonista, dall’infanzia se ne sta andando via (lo capiamo dall’indifferenza che ha verso i giochi con Luisito) e l’interesse che prova verso il tizio che vive appartato è una spinta nell’ignoto, oltre l’aia in cui ha razzolato fino a quel momento. Il cuore del film è racchiuso qui, nel sentimento provato dalla ragazzina che mescola fascino e paura e l’autore catalano ne dà saggio costruendo diverse piccole situazioni che mettono in luce questa attrazione/ritrazione, se si digerisce una confezione un po’ vetusta e un materiale narrativo che non è proprio una novità, il garbo che custodisce tutto ciò è un indicatore del fine regista che Guerín diventerà.

Trattandosi di un esordio potrebbe essere stimolante andare a rintracciare delle similitudini con i lavori che verranno. In tale ottica pur essendoci poco da constatare, qualcosina da dire c’è: quindi, appurato il racconto di formazione (certificato dal finale con Berta che davanti allo specchio si pettina e si veste come una signorina), dopo il suicidio dell’eremita col cappello viene innestato un altro elemento esterno che non è casuale, con l’entrata in scena della troupe cinematografica vagamente felliniana Guerín vuole compiere una riflessione interna, ovvio che siamo lontanissimi da un sofisticato esercizio concettuale come sarà L’accademia delle muse (2015) però è evidente il ruolo dato al cinema all’interno dello spazio filmico, non sapremo nulla del film nel film in procinto di girarsi in quelle campagne, sapremo invece che Los motivos de Berta si schiuderà ad un tratto a suggestioni quasi fiabesche con la cavalcata della bella attrice bionda che arriverà – tardi – alla soglia del “castello”. Non vorrei sovrainterpretare ma nell’apparizione della troupe e della starlette inglese ci ho visto una proiezione immaginifica, il realizzarsi di un desiderio proferito da un uomo che, visto il gesto compiuto, non era particolarmente stabile, ma che in una giovane mente ha evidentemente fatto presa, perciò si potrebbe intendere che sia stata proprio Berta, nella sua testa, a far giungere a cavallo la bella moglie bionda, salvo poi ritornare alla realtà con la consegna del cappello alla vera consorte. Ecco, l’incrocio, lieve, impercettibile e per nulla diretto (potrebbe essere frutto di un’altra immaginazione: la mia) tra il corso degli eventi e una possibile deviazione onirica che trae linfa dal cinema e che ivi si sostanzia, è il segno di maggior apertura di un’opera prima che ad ogni modo consiglierei soltanto ai completisti di Guerín – ammesso che esistano –, a tutti gli altri direi di rivolgere la propria attenzione altrove.

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