Al massimo l’inizio nel club psichedelico con la musica che spinge (la musica è la vera protagonista della storia) potrebbe riportare alle atmosfere di Damned Summer (2017), anche se forse è solo la ravvicinata visione a farmelo associare, per il resto Zois piazza sullo schermo Alex, un giovane ragazzo come tanti altri (praticamente i medesimi a cui il corto si rivolge), che sta lasciando un’età complicata per entrarne in un’altra non meno difficile: l’adultità, e per sottolineare il passaggio esistenziale si utilizza il lavoro, un lavoro grigio e noioso che cozza con l’esplosione di suoni e corpi del locale, un lavoro come grimaldello per aprire un varco nei significati: anche da una fase di svantaggio personale si possono trarre dei benefici e l’Europa è lì pronta a sostenerti. Buffo che mentre scrivo queste righe (luglio 2020) i leader dei vari Paesi si trovino a Bruxelles nella disperata ricerca di trovare una quadra che non faccia finire noi poveri staterelli mediterranei a gambe all’aria, le tempistiche e i casuali incontri che si fanno a volte con il cinema (seppur questo, chiaramente, non sia cinema) hanno una puntualità quasi diabolica.
martedì 20 ottobre 2020
Party Animal
Il fatto che sul sito ufficiale di Yorgos Zois (link) Party Animal (2018) non venga
neanche nominato è abbastanza comprensibile, parliamo di un
cortometraggio che fa parte della campagna europea #EUandme lanciata
nel maggio 2018 per sensibilizzare i giovani sulle opportunità
che il Vecchio Continente offre loro attraverso lo sviluppo di
passioni, talenti e sogni, tutte cose sulla carta molto belle che
però nella pratica lasciano qualche dubbio, ma vabbè, forse è
l’invidia nell’aver abbandonato la categoria anagrafica di
riferimento del progetto a far brontolare il sottoscritto. Ad ogni
modo non ci vorranno grandi sforzi esegetici per capire di quanto in
questo film ci sia poco di autoriale e tutto di marketing, il che è
legittimo, basta accettare la cosa per quello che è: una bazzecola
pubblicitaria (dove anche Jaco Van Dormael ha dato il suo contributo
con The Shape, 2019), una commissione svolta da Zois in maniera dignitosa ma anche un pelo impersonale, infatti, sempre ammesso che
abbia senso fare della filologia in situazioni del genere, non si
direbbe in nessun frangente che trattasi di opera firmata dal regista
greco, di assonanze con il coevo Third Kind (2018) o con gli altri
titoli più vecchi io non ne ho ravvisate.
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