Az ember tragédiája
(2011) è un kolossal animato proveniente dall’Ungheria con una
lunghissima gestazione alle spalle, il regista Marcell Jankovics,
nominato all’Oscar nel ’76 per lo short Sisyphus
(1974), ha impiegato ben ventitre anni per portare a compimento la
sua opera-mondo, numerose sono state infatti le vicissitudini
(riconducibili essenzialmente alla mancanza di denaro, la quale fu
lenita nel 2008 dai dollari americani provenienti dal corto
sopraccitato inserito in uno spot trasmesso durante il Super Bowl)
tanto che lo costrinsero, in alcune occasioni, a presentare il film a
pezzi. Tratto da un poema magiaro del 1861 intitolato appunto The
Tragedy of Man, fonte, fra l’altro, anche di un film
visto da queste parti: The Annunciation
(1984), Az ember tragédiája si prefigge un
obiettivo smisurato: raccontare la storia dell’umanità partendo
dalla Creazione. Ad un’ambizione del genere corrisponde un lavoro
fuori dagli standard dell’animazione poiché parliamo di quasi tre
ore di proiezione nelle quali le spigolose inflessioni ungheresi dei
doppiatori discernono di quella abbagliante complessità che è la
vita e di coloro i quali la vivono, compresi i fattori che la
sostanziano come l’amore, la libertà, l’uguaglianza, la fede. E
per fare ciò Jankovics decide di compiere una maestosa cavalcata tra
ere ed ere, il motto è: provare a capire le varie epoche per provare
a capire l’uomo. Comprenderete allora che siamo di fronte ad un
azzardo, una scommessa che pretende parecchio dallo spettatore in
termini di attenzione.
Il canovaccio narrativo è
pressoché lo stesso per tutta la durata del film, dopo la cacciata
dall’Eden Lucifero tentatore fa da guida [1] attraverso i vari
periodi storici ad un Adamo alla costante ricerca della sua Eva.
Quanto viene in superficie è una ricorsività della Storia, una
reiterazione di fatti e azioni riguardanti gli esseri umani che si
ripresenta anche a distanza di secoli, si parla, ovviamente, di
questioni disdicevoli come guerre, lotte e stermini, qui Jankovics è
abile nel sottolineare una tale dimensione votata al ripetersi tramite
svariati accorgimenti visivi che implementano il discorso, così
nonostante il passaggio dall’antico Egitto alla Grecia classica, o
dalla Rivoluzione francese alla Londra ottocentesca tutto cambia per
far sì che nulla cambi realmente. In questo che altro non è se non
un gigantesco loop, la narrazione si carica l’onere di una
proiezione futura che comincia verso il centoventesimo minuto. Omesso
il Secolo breve (ed è strano vista la mole di accadimenti qui
sintetizzati in rapide sequenze), siamo trasportati in due lontane
zone temporali, la prima è una specie di tecnocrazia dove
l’apparenza di una civiltà sottende un’establishment fascista,
mentre la seconda, estrema e periferica, è uno scenario post-atomico
degno di Dead Man’s Letters (1986) che riporta l’umanità
al grado zero. Ebbene, giunti al termine del viaggio è un evidente
pessimismo il sentimento che trasuda maggiormente dall’imponente
lungometraggio, ovvio che non è rintracciabile alcun elemento
innovativo in un racconto che per certi versi non diverge troppo da
un bignami scolastico, ma la vena romantica del sottoscritto vuole
comunque gratificare sia la costanza dell’autore che il proposito di
maneggiare tematiche così ampie da diventare mai come ‘sta volta
universali.
Dove invece Jankovics
risulta francamente indifendibile è nella realizzazione tecnica del
film. Capisco la differenziazione degli stili di disegno in base alle
età rappresentate, ma nella globalità questo tipo di animazione
bidimensionale è indietro anni luce rispetto all’offerta attuale
nel campo di riferimento. Sembra che Jankovics si sia fermato al
momento in cui iniziò a concepire il progetto, pertanto l’abito
estetico, non dissimile, ad esempio, dalle forme di René
Laloux, risulta molto deficitario, il che, se rapportato al
complessivo minutaggio, può appesantire la visione svalutandone i
contenuti.
_______________
[1] Questo demonio
proteiforme che risulta il personaggio più solido di tutto il film
assomiglia al “collega” presente in Faust (2011) di
Sokurov, stessa cialtroneria, stesso atteggiamento da smargiasso.
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