Documentario del 2005 molto sui generis che fa parte di un progetto a lunga gittata comprendente fotografia e letteratura, tutto riunito nel Nomadic Museum, una mostra itinerante che partendo dalla Biennale del 2002 ha toccato svariati punti del globo (New York, Santa Monica, Tokyo, Messico) raggiungendo gli oltre 10 milioni di visitatori.
La mente dietro tutto questo ha un nome: Gregory Colbert, fotografo canadese che fin dal 1992 ha concentrato la sua attività nel progetto Ashes and Snow viaggiando per i quattro continenti, dall’India all’Egitto, dal Kenya all’Antartide, con lo scopo di immortalare le interazioni tra uomini e animali.
Il filmato lungo poco più di un’ora ha una veste che sconfina abbondantemente nella fotografia artistica accompagnata di tanto in tanto da una voce off che racconterebbe di una lettera ad un ipotetico destinatario.
Le immagini sono bellissime, sul serio, si tratta di lunghissimi ralenti che rappresentano uomini e animali in totale armonia con se stessi. La cura del particolare è a livelli altissimi, la luce ambrata disegnatrice di ombre e splendidi riflessi orna le sagome di pachidermi che leggeri si librano nell’acqua come gli esseri umani, ogni bollicina del mare od ogni macchia degli imperturbabili ghepardi è raccontata minuziosamente dall’obiettivo di Colbert.
Ma essendo questo un prodotto pensato più per essere ammirato, da buona matrice espositiva, che per coinvolgere chi guarda, da buona tradizione cinematografica, Ashes and Snow difetta nella sua andatura oltremodo pesante ed anche un po’ ripetitiva perché bene o male ciò che si vede dall’inizio alla fine è un uomo o una donna che danzano contornati da animali di svariate specie. È un po’ poco, nonostante si tratti di immagini di grande valore. Vieppiù che le parole del narratore sembrano messe lì giusto per aggiungere del lirismo laddove, a mio avviso, non ce n’era bisogno.
È pur vero, però, che un’opera del genere dovrebbe essere guardata tassativamente sul grande schermo o su un LCD da mooolti pollici per poter gustare appieno delle sue qualità estetiche, e soprattutto, in questo caso, separarla dalla cornice del Nomadic Museum per incastrarla nello schermetto di un computer è come mortificarla.
P.S.: un elefante che nuota nell’acqua lo si può vedere anche nel superbo The Fall (2006).
La mente dietro tutto questo ha un nome: Gregory Colbert, fotografo canadese che fin dal 1992 ha concentrato la sua attività nel progetto Ashes and Snow viaggiando per i quattro continenti, dall’India all’Egitto, dal Kenya all’Antartide, con lo scopo di immortalare le interazioni tra uomini e animali.
Il filmato lungo poco più di un’ora ha una veste che sconfina abbondantemente nella fotografia artistica accompagnata di tanto in tanto da una voce off che racconterebbe di una lettera ad un ipotetico destinatario.
Le immagini sono bellissime, sul serio, si tratta di lunghissimi ralenti che rappresentano uomini e animali in totale armonia con se stessi. La cura del particolare è a livelli altissimi, la luce ambrata disegnatrice di ombre e splendidi riflessi orna le sagome di pachidermi che leggeri si librano nell’acqua come gli esseri umani, ogni bollicina del mare od ogni macchia degli imperturbabili ghepardi è raccontata minuziosamente dall’obiettivo di Colbert.
Ma essendo questo un prodotto pensato più per essere ammirato, da buona matrice espositiva, che per coinvolgere chi guarda, da buona tradizione cinematografica, Ashes and Snow difetta nella sua andatura oltremodo pesante ed anche un po’ ripetitiva perché bene o male ciò che si vede dall’inizio alla fine è un uomo o una donna che danzano contornati da animali di svariate specie. È un po’ poco, nonostante si tratti di immagini di grande valore. Vieppiù che le parole del narratore sembrano messe lì giusto per aggiungere del lirismo laddove, a mio avviso, non ce n’era bisogno.
È pur vero, però, che un’opera del genere dovrebbe essere guardata tassativamente sul grande schermo o su un LCD da mooolti pollici per poter gustare appieno delle sue qualità estetiche, e soprattutto, in questo caso, separarla dalla cornice del Nomadic Museum per incastrarla nello schermetto di un computer è come mortificarla.
P.S.: un elefante che nuota nell’acqua lo si può vedere anche nel superbo The Fall (2006).
Ciao sono andata a vedere il film che ti dicevo.Puoi leggere le mie impressioni su http://almacattleya.blogspot.com/2010/04/seraphine-larte-la-vita.html
RispondiEliminaTi ringrazio molto per essere passato. Ritorna pure quando vuoi. Ciao!
RispondiEliminanon so proprio perché, ma sono affascinato dalle immagini di elephanti che volano o nuotano...
RispondiEliminasi, alla fine è un film che si poggia fondamentalmente sulle immagini, è una bellissima esperienza da fare, tra l'altro non dura neanche assai.
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