Prima di dedicarsi con estrema attenzione alla parte anatomica femminile per antonomasia, Tinto Brass girò una decina di lungometraggi che spaziavano dalla commedia allo spaghetti-western, passando per il documentario politico. Insomma, la fissazione per il culo ancora aveva da venire.
Il disco volante è un film del ’64 finanziato da Dino De Laurentiis il quale volle mettere alla prova l’allora giovane Brass che per la prima volta si trovava di fronte ad una produzione non indipendente. E la mano del produttore napoletano si avverte subito leggendo il cast: Alberto Sordi, Monica Vitti e Silvana Mangano, praticamente il meglio sulla piazza a quel tempo.
Nel film Sordi interpreta non uno, ma bensì quattro personaggi diversi: un prete ubriacone, un brigadiere tonto, un impiegato filosofo e il figlio gay di una contessa. Neanche a dirlo è proprio l’attore romano che regge in piedi una vicenda dove lo sbarco dei marziani è solo un astuto pretesto di Brass per mettere in luce l’arretratezza della provincia veneta.
Non solo degrado sociale, ma anche comportamenti eticamente discutibili. Tutte le classi del paese, dalla contadina alla contessa, hanno smarrito la propria morale, e così se la prima segrega in casa un marziano, ecco che la seconda glielo compra per puro sfizio personale, infatti l’ET verrà gettato nel pozzo. Nel mezzo ci sta un prete che preferisce l’osteria al pulpito, un impiegato che non ci pensa due volte a tradire la fiducia del sindaco, ed un brigadiere sbeffeggiato dai superiori che gli impongono di avviare un’indagine sugli alieni per appurare che non esistono. Ma soprattutto c’è una società ottusa spaventata dalla diversità: piuttosto che dare adito agli avvistamenti degli ufo, soffoca queste voci con l’elettroshock. Certo, l’atmosfera della pellicola è goliardica e scanzonata, ma Brass non le manda troppo a dire, e per il regista se c’è qualcuno di cui aver paura sembra non venire dal cielo...
La regia è… come dire… rustica al punto di sfiorare la sperimentazione, fatta di inquadrature traballanti e controcampi repentini che non sono una meraviglia a vedersi ma che conferiscono alla pellicola una piacevole genuinità. Gli effetti speciali, se così possono essere chiamati, si limitano ad un paio di luci e antenne appiccicate ad un “disco volante”, eppure, grazie all’ironia, mi viene quasi più credibile questa rappresentazione che quella di Bagliori nel buio (1993). Il make-up degli alieni è provocatorio, e in particolare quello di una marziana con i seni di vetro sembra il primo segnale del Brass che verrà.
Non cercate ne Il disco volante un film di fantascienza perché rimarrete delusi, piuttosto drizzate le antenne sulla denuncia sociale del sottotesto, e se anche questo non vi garba pensate che c’è Sordi, forse il vero alieno.
Il disco volante è un film del ’64 finanziato da Dino De Laurentiis il quale volle mettere alla prova l’allora giovane Brass che per la prima volta si trovava di fronte ad una produzione non indipendente. E la mano del produttore napoletano si avverte subito leggendo il cast: Alberto Sordi, Monica Vitti e Silvana Mangano, praticamente il meglio sulla piazza a quel tempo.
Nel film Sordi interpreta non uno, ma bensì quattro personaggi diversi: un prete ubriacone, un brigadiere tonto, un impiegato filosofo e il figlio gay di una contessa. Neanche a dirlo è proprio l’attore romano che regge in piedi una vicenda dove lo sbarco dei marziani è solo un astuto pretesto di Brass per mettere in luce l’arretratezza della provincia veneta.
Non solo degrado sociale, ma anche comportamenti eticamente discutibili. Tutte le classi del paese, dalla contadina alla contessa, hanno smarrito la propria morale, e così se la prima segrega in casa un marziano, ecco che la seconda glielo compra per puro sfizio personale, infatti l’ET verrà gettato nel pozzo. Nel mezzo ci sta un prete che preferisce l’osteria al pulpito, un impiegato che non ci pensa due volte a tradire la fiducia del sindaco, ed un brigadiere sbeffeggiato dai superiori che gli impongono di avviare un’indagine sugli alieni per appurare che non esistono. Ma soprattutto c’è una società ottusa spaventata dalla diversità: piuttosto che dare adito agli avvistamenti degli ufo, soffoca queste voci con l’elettroshock. Certo, l’atmosfera della pellicola è goliardica e scanzonata, ma Brass non le manda troppo a dire, e per il regista se c’è qualcuno di cui aver paura sembra non venire dal cielo...
La regia è… come dire… rustica al punto di sfiorare la sperimentazione, fatta di inquadrature traballanti e controcampi repentini che non sono una meraviglia a vedersi ma che conferiscono alla pellicola una piacevole genuinità. Gli effetti speciali, se così possono essere chiamati, si limitano ad un paio di luci e antenne appiccicate ad un “disco volante”, eppure, grazie all’ironia, mi viene quasi più credibile questa rappresentazione che quella di Bagliori nel buio (1993). Il make-up degli alieni è provocatorio, e in particolare quello di una marziana con i seni di vetro sembra il primo segnale del Brass che verrà.
Non cercate ne Il disco volante un film di fantascienza perché rimarrete delusi, piuttosto drizzate le antenne sulla denuncia sociale del sottotesto, e se anche questo non vi garba pensate che c’è Sordi, forse il vero alieno.
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