domenica 13 agosto 2023

Danny Boy

Un mondo dove tutti sono senza testa, e quindi niente bocche, occhi e orecchie, persone mute, cieche e sorde che si aggirano per la città scontrandosi tra di loro, inciampando o anche peggio. Da un certo punto di vista Danny Boy (2010) mi ha stupito perché rispetto a Ichthys (2005) è decisamente più diretto e leggibile, seppur incastonato in una bolla weird il corto del polacco Marek Skrobecki esibisce allo spettatore il suo significato simbolico con la pletora di soggetti acefali che si accapigliano per strada, qui l’interpretazione potrebbe anche essere meno inchiavardata di quel che sembra: è una critica ad un’umanità omologata e senza cervello? Oppure è una storia sentimentale dove l’amore è più forte della ragione?, considerando valide entrambe le ipotesi di sicuro a tali conclusioni si arriva con discreta agilità. In altri ambiti cinematografici questo sarebbe un difetto, e anche pesantuccio da digerire, però essendo che ci troviamo in un lavoro animato molto, se non tutto, passa in secondo piano. La panacea si situa in una stop-motion fatta di burattini (numerosi e spesso contemporaneamente in scena, il che deve aver alzato il coefficiente di difficoltà per il regista e i suoi collaboratori), il solito adorabile presepe vivente (o morente?) pullulante di dettagli, senza scordare un’atmosfera stramba, surreale, sottilmente sordida punteggiata dall’ironia (dalle gag slapstick al cartello del mendicante). Riassumendo: un delizioso quadretto che non ci stanchiamo mai di rivedere ogniqualvolta si presenta.

In un contesto del genere non mi è poi dispiaciuto l’uso del sonoro proprio perché è un non-uso. Danny Boy è per buona parte della sua durata un film silenziato, ad esclusione di qualche mirato ingresso musicale non ci sono ulteriori accenti, in questo modo si riesce a entrare in sintonia con un piccolo universo dove non esistono corde vocali. La situazione narrativa principale, ovvero l’incontro tra lui e lei, non credo abbia bisogno di grandi approfondimenti, è abbastanza palese nell’offrirsi a chi guarda, tuttavia non è da disdegnare la virata horrorifica (vabbè, lasciatemi esagerare) che Skrobecki compie, se l’atto di autodecapitarsi fosse avvenuto in un’opera di Tim Burton hai voglia per quanto ne avremmo sentito parlare! Il film sarebbe finito in una sorta di vissero felice e contenti quando invece è proprio al termine della proiezione che viene sferrata la zampata maggiormente indecifrabile: con la coppia che giuliva si incammina verso il sole, un aereo si schianta contro quella che è inequivocabilmente una torre che si staglia sull’agglomerato urbano. Perché inserire un riferimento dell’11 settembre in una produzione che è distante eoni da quel tragico evento storico? Non ne ho la benché minima idea, ma il fatto che ci sia non mi ha per nulla infastidito, anzi.

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