martedì 20 giugno 2023

The Girl Without Hands

Dove indirizzare la nostra attenzione in un prodotto animato che si rifà ad una fiaba dei fratelli Grimm se non sul suo metodo espositivo? È così: graficamente La jeune fille sans mains (2016) si merita tutte le considerazioni di cui possiamo disporre perché è un manufatto artistico che magnetizza lo sguardo e lo fa seguendo una strada che potrebbe apparire minimalista ma che invece molto probabilmente non è tale. I complimenti al regista Sébastien Laudenbach, qui al debutto nel lungometraggio, che a quanto pare ha fatto tutto da solo, dai disegni (buttati giù durante un periodo di residenza a Roma) al montaggio, provengono da una visione costituita da linee acquerellose, da figure che sfarfallano, da prospettive impossibili, a tratti sembra quasi di trovarci al cospetto di un film non terminato, come se quelli in movimento fossero degli schizzi preparatori, ma con il passare dei minuti si riesce ad entrare in confidenza con l’apparato estetico di Laudenbach al punto da cogliere una pienezza che non è tanto propria delle singole composizioni quanto dell’insieme, con pochi tratti e le adeguate cromature il film trasmette un valido ventaglio espressivo che connota la storia in maniera adulta e dove fanno capolino risvolti dark (le incarnazioni animalesche del diavolo non sono proprio roba per mocciosi) nonché sottilmente anomali (certo, ci sono accelerazioni weird ben più brucianti nell’animazione contemporanea, però The Girl Without Hands si difende con valore). Se di bellezza vogliamo parlare, parliamone: sta lì, nelle anarchiche pennellate dell’autore, negli abbozzi apparenti, nella sintesi radicale che sa esprimersi non meno, e non peggio, di una forma maggiormente massimalista.

Senza scordare la profonda ignoranza in tematiche prettamente tecniche del sottoscritto (si legge che Laudenbach ne abbia utilizzata una che in inglese si chiama cryptokinography), la sensazione, ben poco oggettiva ma giurin giurello assolutamente sincera (e andate a leggervi questa intervista al regista e sull’idea che ha nel sentire un’opera, così, giusto per personale solidarietà), è che il processo realizzativo ed il susseguente risultato abbiano reso la narrazione più viva di quello che era sulla carta. È la scoperta della ruota ma vale la pena sottolinearlo: ogni racconto che trae ispirazione da una favola certificata deve fare i conti con un’inevitabile schematicità (ad esempio: ecco il bene, ecco il male) e con una serie di archetipi da manualetto (ancora: e la bella, e il principe, e il castello), non che i suddetti ingredienti in La jeune fille sans mains siano assenti, tutt’altro perché la vicenda segue esattamente la traccia di mille altre novelle del settore, ma il super lavoro di Laudenbach ha mitigato il loro inflazionato uso in letteratura e mutato in ampiamente digeribile ciò che era prevedibile dal primo istante. Le variazioni sull’aspetto e l’operosità intorno all’approccio sono le carte vincenti del film perché ci permettono di capire, se mai ce n’era bisogno, che l’unica branca del cinema, al di là delle avanguardie, capace di manifestarsi in modo libero da gabbie è l’animazione.

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