domenica 19 settembre 2021

Hold me (Ca Caw Ca Caw)

La storia, che è d’amore, e quindi di dipendenza, di recinzione, di assenza, di monotonia, tra un pennuto ed un omino glabro ci perviene per mezzo di un’animazione disturbata già ravvisata in esemplari passati, o che passeranno, da questi parti: When the Day Breaks (1999) – che è un po’ il capostipite –, Benjamin’s Flowers (2012), Däwit (2015), Among the Black Waves (2016), ma, come dico spesso, non ci basterà una vita intera per scoprire tutte le possibili gemme oscure che si annidano in questo campo artistico, per cui, mettendoci l’anima in pace, dobbiamo considerare Hold me (Ca Caw Ca Caw) (2016) un altro oggettino non identificabile che pulsa come un bubbone nel tratto disordinato della sua regista (Renee Zhan, che chissà chi è, dove vive, cosa fa, ma che, nei crediti finali, ringrazia una “certa” Athina Tsangari), nel carboncino che delinea i fondali dell’abitazione e nelle chine tremolanti che configurano i due protagonisti, la coppia disamorata e prigioniera di se stessa. D’altronde che qualcosa non quadrasse emerge fin da subito: perché un goffo volatile volteggia nel salotto di un appartamento sgangherato? I segnali di un rapporto poco sano si leggono nell’anomalo apparato imbastito dalla Zhan, tipo quando l’uomo viene imboccato esattamente come si fa con i pulcini o quando assistiamo al tentativo di fuga da parte dell’uccello.

C’era la necessità di inserire un elemento capace di spezzare l’insalubre equilibrio illustrato, quale migliore occasione se non la scelta di introdurre una mina vagante in grado di attirare su di sé il vero sentimento: un figlio, dentro un uovo ovviamente. In realtà l’ometto non sembra nemmeno soffrire troppo di gelosia, il gesto che compie, tanto devastante per l’animale, è vissuto dall’umano con indifferenza, lui aveva solo fame. Constatata la tragedia il corto entra in fibrillazione: al grigio e nero si aggiunge un altro tono, il gialloarancione del tuorlo che dilaga in ogni direzione, sul luogo del delitto, in un lago onirico dove forse il pennuto comprende la bassezza del suo partner (eccolo lì, con uno di quei vermi cicciotti che girano per casa attaccato al pene), in un sole miniaturizzato dentro il forno. E così, tra stranezze e perversioni sessuali (anche piuttosto esplicite), ci arriva dritta dritta la cronaca di un suicidio con tanto di minuziosa preparazione, coronamento di una visione curiosa solo ad una distratta occhiata, ma cupa e realmente atra nella sua essenza.

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