La storia,
che è d’amore, e quindi di dipendenza, di recinzione, di assenza,
di monotonia, tra un pennuto ed un omino glabro ci perviene per mezzo
di un’animazione disturbata già ravvisata in esemplari passati, o
che passeranno, da questi parti: When the Day Breaks (1999)
– che è un po’ il capostipite –,
Benjamin’s Flowers
(2012), Däwit (2015), Among the Black Waves
(2016), ma, come dico spesso, non ci basterà una vita intera per
scoprire tutte le possibili gemme oscure che si annidano in questo
campo artistico, per cui, mettendoci l’anima in pace, dobbiamo
considerare Hold me (Ca Caw Ca Caw) (2016)
un altro oggettino non identificabile che pulsa come un bubbone nel
tratto disordinato della sua regista (Renee Zhan, che chissà chi è,
dove vive, cosa fa, ma che, nei crediti finali, ringrazia una “certa”
Athina Tsangari), nel carboncino che delinea i fondali
dell’abitazione e nelle chine tremolanti che configurano i due
protagonisti, la coppia disamorata e prigioniera di se stessa.
D’altronde che qualcosa non quadrasse emerge fin da subito: perché un goffo volatile volteggia nel salotto di un
appartamento sgangherato? I segnali di un rapporto poco sano si
leggono nell’anomalo apparato imbastito dalla Zhan, tipo quando
l’uomo viene imboccato esattamente come si fa con i pulcini o
quando assistiamo al tentativo di fuga da parte dell’uccello.
C’era la necessità di inserire un elemento capace di spezzare
l’insalubre equilibrio illustrato, quale migliore occasione se non la scelta di introdurre una mina vagante in grado di attirare su di sé il
vero sentimento: un figlio, dentro un uovo ovviamente. In realtà
l’ometto non sembra nemmeno soffrire troppo di gelosia, il gesto
che compie, tanto devastante per l’animale, è vissuto dall’umano
con indifferenza, lui aveva solo fame. Constatata la tragedia il
corto entra in fibrillazione: al grigio e nero si aggiunge un altro
tono, il gialloarancione del tuorlo che dilaga in ogni direzione, sul
luogo del delitto, in un lago onirico dove forse il pennuto comprende
la bassezza del suo partner (eccolo lì, con uno di quei vermi
cicciotti che girano per casa attaccato al pene), in un sole
miniaturizzato dentro il forno. E così, tra stranezze e perversioni
sessuali (anche piuttosto esplicite), ci arriva dritta dritta la
cronaca di un suicidio con tanto di minuziosa preparazione,
coronamento di una visione curiosa solo ad una distratta occhiata, ma
cupa e realmente atra nella sua essenza.
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