Il primo dato che
riceviamo da Boi Neon (2015) di Gabriel Mascaro è
folkloristico, eccoci servito il cosiddetto Vaquejadas, una
manifestazione sportiva in voga nel nord-est del Brasile dove dei
tori (bianchi, almeno quelli presenti nel film) vengono spinti in una
specie di arena in cui due fantini gli galoppano affianco nel
tentativo di farli cadere tirandoli per la coda. Insomma, ci si
diverte in quelle zone brasiliane, e infatti l’allegria regna tra i
componenti della famiglia allargata residente sul camion itinerante
che trasporta gli animali: battibecchi, sogni irrealizzabili (Cacá e
la sua passione per i cavalli), padri sconosciuti, giornaletti porno
e sveltine in piedi, l’umanità che circonda il carrozzone bovino è
quanto ci si può aspettare da chi tira a campare in una nazione come
il Brasile maculata dalla povertà. Il secondo dato che possiamo
registrare riguarda invece l’opera in sé ed il suo focus sul
protagonista Iremar, il vaccaio dal savoir-faire latino che mentre
cammina tutti i giorni con cacca e fango fino alle caviglie brama di
poter sfondare nel mondo della moda usando come cavia la ballerina
che vive con lui. C’è dunque un netto contrasto che riguarda i
ruoli all’interno del contesto rappresentato, Iremar si dà al
taglia e cuci, Galega è autista e meccanica della ciurma. Il motivo
di un’inversione del genere mi è onestamente oscuro, se vi sono
dei rimandi alla situazione sociale del Brasile odierno il
sottoscritto, essendone ignorante, non è stato in grado coglierli,
sappiate solo che in Neon Bull è questo che c’è.
Che a dirla tutta non è
che sia chissà che, cioè appurati i due punti sopramenzionati si fa
fatica a rintracciare dell’altro che soddisfi almeno un minimo il
nostro palato spettatoriale. Accettiamo la professionalità di
Mascaro ed il suo taglio estetico che per un cinema narrativo come
questo mantiene un’onorevole dignità e che regala anche qualche
cartolina da ricordare soprattutto quando viene ripresa la mandria in
blocco, ma non può bastare un’accettabile patinatura per farci
alzare dalla poltrona, e nel momento in cui ci si addentra per
ricercare significati appaganti ecco che si sbatte subito sul fondo
perché Neon Bull non ha profondità, e per una volta non
ritengo sia nemmeno una faccenda di metodo perché è a monte che c’è
da sbadigliare, il puntare forte di Mascaro sulla doppia identità di
Iremar mi è parsa una scelta non particolarmente fruttuosa, anzi
oserei dire sterile visto che il massimo a cui giunge è un po’ di
strampaleria data la realtà dove si evolve. E proprio la realtà,
almeno quella economica, potrebbe essere in teoria una chiave di
lettura del film che vedrebbe una fioritura del settore tessile a
scapito di quello primario, ma di nuovo non posso certo definirmi un
dotto conoscitore del sistema produttivo del luogo e quindi mi limito
a supporre, uno sforzo che ad ogni modo non trova gratificazione
alcuna.
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