lunedì 25 marzo 2019

Birlikte

Se ha senso e se soprattutto si ha voglia di fare le pulci ad un titolo che non potrà mai avere alcuna chance di visibilità, allora va subito detto che Birlikte (2012) di Barış Çorak si poggia su un duplice presupposto narrativo che semina dubbi scaturenti dalle motivazioni che fanno casualmente scontrare l’uomo e la donna. Sul primo, in particolare, si addensano punti di domanda in merito al suo attaccamento alla pianta che tiene in soggiorno e allo stratagemma messo in piedi per simulare un furto casalingo, non è che la necessità di capire sia così impellente, tuttavia registrando un’atmosfera che oscilla tra reale e surreale nel vedere il film attraverso una lente logica si constata al massimo una piega stramba che con ogni probabilità cela banalmente la necessità di trovare un pretesto per far salire il tizio sulla sua moto. La vicenda della telegiornalista si costituisce in un rapido preambolo in cui professa davanti alle telecamere una decisa presa di coscienza sia professionale che personale, anche qua i boh non mancano, magari si tratta di un messaggio nemmeno troppo indiretto alla vera realtà della Turchia, o magari no, quel che è certo è che avrebbe potuto asserire o fare qualunque altra cosa durante la diretta che non sarebbe cambiato il prosieguo della sceneggiatura con l’incidente e quello che ne segue, idem quindi per il personaggio maschile che trasporta quella pianta con la moto sebbene avrebbe potuto esserci qualsiasi altro oggetto (sì, c’è un debole richiamo verso la fine, e no, non è abbastanza).

Da premesse traballanti non poteva svilupparsi nulla di solido. Assistiamo ai minuti conclusivi che sarebbero la trasposizione di un possibile limbo comatoso dove i due si sfiorano (“birlikte” significa proprio “insieme”), anche se forse con i fluttuanti brandelli di plastica che aprono la proiezione l’incontro era metaforicamente già avvenuto (Plastic Bag [2009] mi ritorni in mente…), e il finale è una conferma dato che solo uno dei due lembi continuerà l’incerto volo, ad ogni modo si spinge su questa ipotetica unione (rafforzata dalla vicinanza ospedaliera) e lo si fa nella cornice interstiziale della collina dove Birlikte vorrebbe giungere ad un picco di intensità emotiva con ralenti e accompagnamenti musicali che trasformano il tutto in un videoclip di una qualche band post-rock. E ci riesce Çorak a provocare emozioni? Domanda pleonastica, al giovane regista turco mi sento di dire che non è sufficiente una suggestiva immissione sonora condita da slanci onirici (chi sono le altre persone che si trovano in quel luogo? Altre anime in bilico?) per toccare la sensibilità spettatoriale, ci vuole dell’altro che io non so perché non sono niente, ma è altro che quando lo si vede, semplicemente, abbacina, e qui non vi è niente di ammaliante.

(gradevole, però, il modo in cui Çorak mostra come la donna ritornerà alla vita)

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