martedì 19 febbraio 2019

China, China

China, China (2007) segna l’inizio della collaborazione tra João Rui Guerra da Mata e João Pedro Rodrigues, una sinergia che produrrà parecchi altri esemplari pressoché tutti accomunati da uno studio sulla complementarietà e l’annessa inunibilità tra oriente e occidente nei panni geografici del Portogallo e della Cina, due mondi, per dirla banalmente, così vicini così lontani. In questo cortometraggio venato da una comicità tendente al nero e proposto in un contenitore formale da “film”, cosa che nel successivo Alvorada Vermelha (2011) scomparirà completamente, è chiaro l’intento dei due registi di mettere in scena un disagio forse ancor prima culturale che personale, infatti la giovane mamma nonostante si trovi a Lisbona con il marito e il figlioletto, è come se non si fosse mai allontanata dalla Cina, fuori dalla sua stanza infatti la casa è piena di suppellettili e cibi orientali, la musica che si diffonde è di stampo asiatico al pari dell’action movie che l’uomo guarda in soggiorno col bimbo, ecco allora l’idea di una compenetrazione che non si riesce del tutto a finalizzare, nel mezzo rimane comunque una ragazza depressa (“please kill me”) il cui umore è delineato dagli autori portoghesi fin da subito, la prima sequenza casalinga la vede seduta con alle spalle un panorama notturno di New York mentre ascolta un’audiocassetta di lezioni in inglese, non è una finestra ma il poster che campeggia nella stanza, un miraggio plastificato raggiungibile, magari un giorno, con gli euro nascosti nella scatola da scarpe.

Non è la prima fotografia nella storia del cinema di una pesante insoddisfazione intima né può considerarsi una delle più efficaci, facendo però parte di un progetto dalla portata parecchio ampia è avvertibile un senso di coesione e coerenza tanto che, nella scelta di non mostrare fisicamente il compagno della donna, vengono in mente le impersonalità di The Last Time I Saw Macao (2012) al pari di un finale che vede una non dissimile accelerata caustica immotivata ed estemporanea ma che non provoca fastidio alcuno. In China, China la crasi tra est ed ovest si rivela problematica e la protagonista che incarna tale problematicità subisce l’ingabbiamento del proprio Paese d’origine traslato in Europa, vi sono finezze che ci dicono di sogni agognati (lo scivolamento sulla ringhiera e il susseguente sbattere dei tacchi in stile Dorothy) e realtà spinte all’eccesso che sfrondate di ironia rimangono realtà, non si scappa facilmente dalle proprie prigioni, soprattutto quelle sociali.

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