mercoledì 6 febbraio 2019

A Dog's Dream

Era giusto vederci più chiaro nel cinema del signor Angelos Frantzis perché insomma, In the Woods (2010) era stata una visione dall’estetica piuttosto sconquassante e certi bagliori vanno sempre seguiti, per cui, andando a ritroso, il primo film di cui si può fare conoscenza è proprio questo To oneiro tou skylou (2005), ma evidentemente nel lustro di tempo che ha separato le due opere il regista greco si è messo sotto a studiare forme e metodi ben più innovativi rispetto a quanto rintracciabile in A Dog’s Dream dove gli sconquassamenti sono situati al massimo a livello sceneggiaturiale. E dire che all’inizio il film si presenta con un discreto biglietto da visita, Frantzis propone infatti un articolato piano sequenza che serpeggia nel dietro le quinte di un teatro e che ha una durata di dieci minuti, i quali, manco a dirlo, per sfoggio tecnico e per emanazione di tensione misterica sono la cosa migliore della pellicola, il che è decisamente un problema se poi manca più di un’ora alla conclusione.

Prologo oltrepassato, il secondo lungometraggio di Frantzis inizia volutamente a sfaldarsi dando l’impressione che sia il regista in primis a non raccapezzarcisi più, sicché si coprono le possibili falle dando libero sfogo ad una surrealtà che ammira dal fondo della valle le enormi montagne Lynch e Polański. Nella sua sarabanda notturna A Dog’s Dream diventa quasi un oggetto corale poiché la reiterazione, soprattutto umana, è un elemento che spicca in quanto nello stesso spazio filmico vi è una reciproca compenetrazione tra realtà e sogno dove pullulano doppelgänger e dove porte si aprono su dimensioni ulteriori. Però, nonostante la tendenza nel fornire una musicalità alla storia raccontata attraverso svariate ripetizioni, invece che lo strutturarsi di una concertazione la piega di Frantzis diviene col passare del tempo molto più vicina alla dimensione onirica che a quella del reale, e ciò potrebbe anche andare bene se non fosse che To oneiro tou skylou è comunque un titolo narrativo e perciò ci si aspetterebbe dell’altro rispetto ad un guazzabuglio che pare mosso da un moto casuale.

Ora, di sicuro non ci sarà casualità nell’ordito del regista ma è davvero arduo lasciarsi andare nel frullato di situazioni offerte né si riesce ad accettarle con troppa acquiescenza. Ad ogni modo, nell’imperante confusione si staglia alla fine una significazione complessiva, trattasi di un ipotizzabile adattamento moderno della Bella Addormentata traslato nella contemporaneità (il sonno è un coma) e spruzzato di un sentimentalismo fortunatamente non così accentuato. Il fatto è che anche constatati tali sviluppi scritturiali, nel film non si registrano mai delle auspicabili imbeccate che possano favorire perlomeno alla costruzione di un senso. E siamo sempre lì: se un cinema ha la necessità di esporre il proprio eventuale senso per mezzo dei meri passaggi tramici che lo costituiscono allora preparatevi ad ingoiare la solita sbobba e a non partecipare attivamente nemmeno per un secondo alla proiezione. E dire che A Dog’s Dream non è una produzione di routine, ma c’è un abisso tra il voler fare ricerca (cosa che Frantzis farà nel suo lavoro successivo) e il cercare di ravvivare un andamento balbettante ingarbugliando passo dopo passo tutta la vicenda.

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