Antoine Volodine
2016
2016
66thand2nd; 544 p.
I suoi libri erano, almeno in linea di principio,
delle opere distinte, cui lei, una volta terminate, assegnava un
titolo, ma benché presentassero dei tratti specifici e non
riproponessero i medesimi personaggi, avrebbero potuto essere
tranquillamente accorpati in un unico e interminabile volume.
Tratteggiavano in effetti la medesima sofferenza crepuscolare di
tutti e di tutte, una quotidianità magica ma priva di
speranza, il degrado organico e politico, la resistenza infinita ma
non vagheggiata alla morte, la perpetua incertezza rispetto alla
realtà, o anche un incidere carcerario del pensiero,
carcerario, offeso e folle.
Sono arrivato ad Antoine
Volodine grazie al blog di quella che ritengo essere, ad oggi, una
delle migliori penne del nostro Paese: Giuseppe Genna, il quale tempo
fa ha riportato sul proprio spazio virtuale un breve ma interessante intervento
di Vanni Santoni sullo stato attuale di certa letteratura europea e
di certe tendenze che pare stiano fiorendo in barba al predominio
statunitense degli ultimi anni. L’articolo sta qui, mentre Terminus
radioso, edito dall’elogiabile 66thand2nd in un’ottima veste
grafica e tradotto, si immagina, non senza difficoltà da Anna
D’Elia, sta ancora più qui, proprio affianco alla tastiera
con cui batto queste quattro sciocchezze e più guardo il
volume che occupa in questa porzione di mondo e più il suo
contenuto evade i confini, diventa iridescente, è la
radioattività, l’essenza sciamanica, è il nocciolo
tossico di una prosa che forse forse non è nemmeno il meglio
di ciò che offre il mondo letterario [1], come se la prosa
fosse il fine ultimo di ogni giudizio critico, magari è così,
io non lo so, io ho solo Terminus radioso che ancora folleggia
nel mio cranio e in uno slancio stupido finanche immotivato sento me
stesso come uno degli eteronomi di Volodine che avendo letto i suoi
scritti ne è rimasto contagiato e ha fatto sì che tutti
i miserevoli personaggi che popolano questa storia siano continuati
nel mio inchiostro celebrale a non-morire anche dopo l’ultima
pagina; eteronimia: perché lo scrittore in questione ha
costruito un progetto inessenziale (su cui non mi dilungherò
poiché è ben spiegato inogniddove) che si fa beffa delle
etichettature accademiche e che trae linfa dalla diade sempre fertile
fiction e non-fiction: il post-esotismo non esiste nella realtà! Il post-esotismo
esiste eccome.
La gittata ludica di
Terminus radioso arriva lontano perché come per ogni
gioco dove il divertimento sta proprio nel giocare, è proprio
bello leggere Volodine, è straordinario, e si potranno usare
tutte le definizioni idriche che vi aggradano maggiormente (scegliete
pure tra: alluvionale e/o fluviale) per condensare un testo che
abilmente ci frega perché non fa altro che essere un testo
moderno. E non intendo “testo” in quanto “libro” bensì
un manufatto equiparabile ad un film, ad una canzone, ad un quadro o
a qualunque altra espressione artistica che possiede i connotati di
una contemporaneità che non ha più bisogno di paletti,
semplicemente: questo non è un libro di fantascienza sebbene
lo sia nel suo involucro. Non ho mai avuto il piacere di leggere
McCarthy che immagino sia la
prima pietra di paragone quando nell’area-romanzo si parla di
post-atomico, però sono convinto che il discorso di Volodine
possegga traiettorie diverse che se ne sbattono del genere di
riferimento e che si direzionano verso “un futuro riposto nei lati
oscuri della nostra coscienza” [2], e non solo, perché ciò,
in fondo, è quello che accade in ogni opera post-apocalittica,
la vera forza di Terminus radioso è quella
di essere un oggetto selvatico fino al midollo che per chi scrive non
ha nemmeno poi chissà quale monito che dovremmo ricordarci
sempiternamente, l’idea di una resistenza al furoreggiare del
capitalismo attraverso il proletariato marxista come può
sposarsi con l’attualità? Credo in nessun modo, e va bene
così poiché scartate le sovrastrutture narrative non
rimane che l’illuminante essenza di un metodo che scrive soltanto
per il meraviglioso gusto di farlo e che dal nulla ha creato un’epica
indimenticabile.
Non credo sia un caso se
nell’ultima bellissima parte del libro tutto si stinge e si
avvicina al dolce lucore dell’oblio, Volodine, che per segnare un
passaggio temporale se la cava così: “dopodiché,
volenti o nolenti, un buco di sette secoli”, con l’approssimarsi
della conclusione abbandona ogni personaggio a se stesso nella
sconfinatezza di una taiga che è diventata l’unico mondo
possibile, in sostanza non c’è più niente: né
case, né idee, né politica, né umanità,
il tendere ad un tale zero assoluto mette ancora più in
risalto il talento del francese che ovviati gli attributi romanzeschi
galoppa verso un’Omega indicibile dove la dissoluzione totale è
l’unico e ultimo porto in cui poter approdare, e lo racconta
magistralmente attraverso episodi che segnano una disgregazione verso
cui, e non chiedetemi perché, si prova una forte nostalgia,
anzi chiedetemelo: perché è il vento del tempo che
spira dentro Terminus radioso, la malinconia delle cose andate
la cui forza, giorno dopo giorno, millennio dopo millennio, sparisce
come un filo di fumo senza poterci fare niente, e tutto finisce e di
noi, di me e di te, non resterà più alcuna memoria.
D’altronde... io o te, poco importa.
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[1] Il meglio, ora, è
Mircea Cărtărescu.
[2] Così recita
l’aletta di Angeli minori, raccolta di narrat
(raccontini dell’universo volodiniano), pubblicata da L’orma.
di questa casa editrice ho letto un po' di /bei) libri africani. questo di cui parli l'aggiungo.
RispondiEliminainteressante l'articolo, parla anche del romanzo a cui so è ispirato Bela Tarr per le "Armonie..."
"Melancolia della resistenza" di certo non m'era sfuggito e devo dire che non è affatto male, rispetto al film, che in realtà è solo la parte centrale del romanzo, ha appunto un prologo e un epilogo che completano e ampliano la vicenda. Purtroppo la casa editrice Zandonai è fallita poco dopo, proprio quando stava per pubblicare "Guerra e guerra" sempre dello scrittore ungherese, vabbè ci consoleremo con l'imminente uscita di "Satantango" per Bompiani :)
RispondiEliminaecco qua
RispondiEliminahttp://soundofmyvoicedries.blogspot.it/2016/11/i-deserve.html
scrivimi una mail se intendi abbeverarti alla fonte xD