lunedì 5 settembre 2011

Finisterrae

L’Idea al potere.
Due fantasmi russi, iconografia classicista del fantastico – quindi due lenzuoli bianchi con i buchini neri all’altezza degli occhi –, sono stanchi della loro condizione e perciò, dopo aver contattato un oracolo, si mettono in cammino verso Santiago de Compostela con la speranza di poter ritornare umani.
Storia che colpisce forte ancor prima che il film cominci, basta qualche foto, due tre righe di sinossi e l’hype decolla perché si intuisce come l’opera di Sergio Caballero, tizio che col cinema non ha mai avuto a che fare essendo storico codirettore del Sonar, festival barcellonese di musica elettronica, abbia le carte in regola per diventare uno di quei cult sotterranei che a furia di passaparola diventano delle visioni obbligatorie.
E terminata la proiezione vale la pena domandarsi: cos’ è Finisterrae (2010)?
Vediamo di riordinare le idee.In primo luogo la presa coscienza di un’ingenuità voluta e ostentata.
I due fantasmi sono sì due candide coperte con tanto di occhietti scuri, ma non si fa nulla, davvero nulla, per evitare di mostrare quello che c’è sotto, ovvero semplici attori con braccia e gambe instivalate che spesso fanno capolino da sotto il lenzuolo. È chiara, perciò, la voglia di non prendersi sul serio, di creare un’empatia ludica con chi guarda che si estende anche al di là dei due eterei ma palpabilissimi protagonisti, difatti vedremo il loro cavallo a volte in criniera e ossa ed altre volte come pupazzo meccanico che ruota ossessivamente il collo, inoltre agli splendidi paesaggi naturalistici si alternano le riprese di dipinti che raffigurano i medesimi paesaggi.
Si gioca, si amplifica la condizione percettiva, e questo comporta inevitabile curiosità.
In secondo luogo un’analisi rapida sulla vera condizione degli spiriti.
Il fatto che l’obiettivo non fatichi a scovare “l’uomo” al di sotto della maschera è sintomatico: i due spettri sono tali per modo di dire poiché possiedono ancora molte di quelle caratteristiche che (ci) fanno appartenere alla razza umana. In sequenza: ad un certo punto uno chiede all’altro se è ancora in cura da uno psicologo, durante la traversata di un campo innevato sentono il freddo e la stanchezza, hanno paura di un esserino che li insegue nel loro pellegrinaggio, uno desidera pescare lungo il fiume mentre l’altro stringe amicizia con un alce.
Si evince un’autoironia di fondo che squaderna una piccola verità, questi due fantasmi non possono diventare umani (e infatti uno si tramuterà in rana) perché lo sono già.
In terzo luogo due parole sulla composizione figurativa.
Notevole, a tratti notevolissima, fotografata dal giovane ma già apprezzato Eduard Grau, la messa in scena ha duplice sostanza. Da una parte le fantastiche ambientazioni con almeno un tocco di gran classe (l’inquadratura rovesciata e poi “volevo vedere il cielo”), e dall’altra l’inventiva di Caballero che sfodera un surrealismo da non sottovalutare. L’elenco è ampio, cito soltanto la “foresta della parola” con gli alberi orecchiuti e il sogno erotico (sì, sono decisamente umani) con un divertente split screen che divide il momento onirico da quello reale.
Insomma, qui come avrete capito non si lesina niente per quanto riguarda l’estetica.In quarto e ultimo luogo anche la mente vuole la sua parte.
Se l’occhio si sazia in abbondanza, non si può dire altrettanto del cervello. Il viaggio che porta i fantasmi dalla città alla spiaggia è sì delizioso ma sembra vivere più attraverso compartimenti stagni che per una fluidità insita, con il finale, poi, che ha richiami alla storia troppo deboli e perciò insolubili.
Diciamo che non c’è una grossa trasmigrazione di informazioni nel quadro diegetico, l’andamento errante ha pochi agganci consequenziali tanto che gli anelli ottimi se presi singolarmente, non riescono ad unirsi per formare una catena. C’è anche da dire che Finisterrae evade l’universo cinema per approdare nella mera pubblicità visto che, come dimostra questa foto, i fantasmi sono stati i testimonial per il Sonar 2010.
Ma con questi discorsi c’è il rischio di infilarsi in un ginepraio e non pare il caso.

Quindi.
Se cercate un film originale, eccolo.
Se cercate un film originale e ben confezionato, eccolo.
Se cercate un film originale, ben confezionato e con potenzialità da cult, eccolo. Con qualche riserva.

4 commenti:

  1. segnato da tempo.
    il tuo commento e, soprattutto, le concise indicazioni finali, mi hanno convinto che vale la pena vederlo. :)

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  2. condivido..mi hai convinto a vederlo...

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  3. quando all'inizio cita "la cicatrice interiore" di garrel e parte janitor of lunacy di nico mi aveva già conquistata.cura dei dettagli e dialoghi surreali e umorismo epidermico giocano il loro ruolo di fascino.sempre dura cercare un senso a questi film dichiaratamente sconnessi dalla consequenzialità logica.le metafore della rinascita animale e la finisterrae della condizione umana traspirano da sotto i lenzuoli ma non basta.

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