mercoledì 20 aprile 2011

Visions of Suffering

Proviamo a ricomporre qualcosa: c’è un uomo tormentato da strani (eufemismo) incubi durante le nottate di pioggia. Un tecnico del telefono gli dice di stare attento ai vampiri. Alcune losche figure in giardino spiano l’uomo dentro casa. La forse ragazza di quest’ultimo si lascia andare un po’ troppo con le droghe aprendo un varco col mondo delle tenebre.

Frammenti di una trama che non esiste in Visions of Suffering (2006), opera seconda di Iskanov e considerabile come totale prosecuzione della prima. Se Nails (2003) attraverso rustiche scariche estetiche ci presentava un quadro ben poco incoraggiante dell’allucinata follia di un mal di testa, 3 anni dopo viene riproposta la medesima griglia visiva con una variante che pesa di brutto: la durata, per l’occasione raddoppiata, e che quindi porta i minuti a più di 120, con buona pace della vostra razionalità che verrà asfaltata da un visionario furore tellurico e della vostra pazienza, qualità che con Iskanov dovrete mettere a dura prova.

Ovviamente il budget è sempre low e il digitale un po’ scadente regna incontrastato. Ciò che invece può essere annotato come high è l’inventiva che il regista russo mette nella sua creazione; l’Idea sembra non esserci, piuttosto si procede per lampi, flash, nei quali si mescolano espedienti diversi che danno vita a risultati altalenanti: il sonoro è la componente tecnica che questo autore sa manipolare meglio, invadente e petulante, certo, ma se l’ossessione è ciò che si voleva trasmettere allora Iskanov ha ricreato il mood adatto, inoltre le parentesi oniriche filtrate con colori ambra convincono e inquietano tanto da poter essere paragonate alle splendide opere del pittore polacco Zdzisław Beksiński, peccato che tali sequenze siano in sostanza soltanto due e che il resto della pellicola debba fare i conti con scelte infelici come l’uso di una computer grafica antidiluviana che malissimo si lega con gli aspetti reali della diegesi. Diciamo che in un corto o in un mediometraggio tale utilizzo non aggraverebbe troppo il risultato finale, ma in un film di due ore e passa è difficile non metterlo nella lista dei punti di debolezza.
Un altro aspetto da considerare sono gli attori, visto che nel lavoro precedente ce n’era praticamente soltanto uno più una donna che compariva alla fine (ed entrambi sono nuovamente presenti), qui ne vengono proposti un paio di più, ma non con grandi risultati. Fagocitati dall’atmosfera psichedelica, i vari personaggi si confondono nell’immaginario spettatoriale, e così sorgono interrogativi sul prete pasticcomane nel night club, dubbi su un bruto che riempie di botte una poveretta, ansie nello scorgere il vicino di casa Zio Tibia che si automutila mangiandosi le dita (best character and best scene) e risatine stile Nelson vedendo dei cervelloni-parassiti come nei sci-fi ante litteram.

Difficile pensare che in giro un film così possa piacere a meno di non essere dei weird-addicted che si esaltano per le stranezze più… strane.

Nessun commento:

Posta un commento