Da A Separation era difficile aspettarsi qualcosa che andasse oltre il delineamento della situazione critica con annessi, brevi, approfondimenti emotivo-esistenziali, eppure, se aggrada, alla fine Karin Ekberg propone anche una sorta di piccola morale che chiude la faccenda. Le morali, checché se ne dica, fanno cagare perché evocano tratti parabolici da catechismo, però se il messaggio arriva da un oggettino pregno di intimità e di umiltà, allora l’indotta sentenza irrita di meno. La postilla in sostanza è che: anche se è andato tutto a rotoli, anche se quando chiudi gli occhi prima di addormentarti ti passa davanti una vita intera passata con lei, anche se alla fine ad addormentarti non ci riesci proprio e ti rigiri in un letto singolo che dopo anni e anni di letto matrimoniale ti sembra microscopico, ecco, anche se il destino ha preso una piega del genere, non ti disperare troppo perché ciò che appare sotto le vesti di una spaventosa fine può essere in realtà un meraviglioso nuovo inizio. Con una ellissi temporale che spariglia il mood abbacchiato aleggiante, due spazzolini dentro al porta-suddetti segnano la svolta: chi non aveva speranze le ha magicamente riacquistate in un altro cuore perché l’essere umano è un bel tipo, si strugge, si danna fino a logorarsi, e poi basta un niente per farlo risorgere (con l’ovvio rischio di ricadere in disgrazia, ma all’inizio non ci si pensa per nulla), sicché: che la festa cominci! sembrano dire le ultime immagini le quali, girate non da una che passava di lì per caso, assumono un’increspatura di serenità nell’animo di Karin, un immaginabile dolce arrivederci che è possibile intuire: se loro sono felici, allora lo sono anche io.
Un nuovo teorema repressivo si abbatte sul SI Cobas!
41 minuti fa
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