mercoledì 19 maggio 2021

Jonaki

Verso il cinquantesimo minuto vediamo una donna impegnata a sbrogliare un lavoro a maglia. Idealmente, nel nostro ruolo di spettatori, dovremo compiere la medesima azione: dipanare gli intricati fili di un racconto personale che in barba allo spazio e al tempo saltella qua e là, si contorce, si distende, si volatilizza in immagini di suadente fascinazione. Avvertenza: questo percorso di sgrovigliamento non sarà una sciocchezzuola, Jonaki (2018) è un esemplare filmico che con ostinazione veleggia nel surreale senza dare sicuri appigli a chi guarda, diciamo, subito, che le modalità su cui bisogna concettualmente settarsi sono di tipo mnemonico e in subordine onirico. Questa chiave di lettura ci viene fornita in maniera esplicita soltanto nel finale (ma forse ci sono indizi disseminati anche prima...), il che riesce ad illuminare certe zone oscure che, penso, acquisirebbero definitiva chiarezza dopo un’ulteriore visione (io non l’ho fatta, ma confido in te o prode lettore), ad ogni modo l’ecosistema creato da Aditya Vikram Sengupta, regista nato a Calcutta al suo secondo lungometraggio, convince e seduce per via di un presupposto anti-didascalico che è quanto il sottoscritto invoca sempre al cospetto di un prodotto narrativo, seppur sui generis come Jonaki è. Un fattore destabilizzante (tra i tanti) è rinvenibile nell’impiego dell’attrice Lolita Chatterjee (deceduta lo stesso anno dell’uscita del film) sia nelle scene del presente che in quelle del passato (prendete comunque con le molle le due misure temporali), è una mossa che disorienta e che richiede attenzione per estrapolare la direzione dell’opera, una direzione che fora un nucleo sentimentale. Filtrate le varie indecifrabilità (cos’è quel bernoccolo con la miccia cresciuto sulla fronte del padre?), rimane una storia d’amore più forte di un matrimonio combinato e della morte stessa. In un film che sciorina in loop ambientazioni  astratte ce n’è una di ambientazione che se possibile tocca un tasso di astrazione superiore, cortocircuitale, è la sala cinematografica vuota che scandisce la vita amorosa di Jonaki in termini più diretti rispetto al grande rompicapo che fa da contenitore.

Strepitosa la composizione formale della pellicola curata da Sengupta e da un collega di nome Mahendra Shetty, è un cinema che sconfina nella pittura (mi ha ricordato qualcosina di Lech Majewski), che si porta appresso un carico di suggestioni simboliche non così immediate per noi occidentali, un susseguirsi di tavole in movimento ricolme di chiaroscuri, ombre, scintillii (una costante). Ampio merito va riconosciuto nella scelta delle location, un depliant di edifici decadenti dal vago sapore tarkovskijano, sia negli interni che negli esterni la sensazione predominante è quella di un trascorso, di un andato, di un ieri quasi ridotto in macerie. Un cimitero di ricordi. Tutto ciò contribuisce a delineare una dimensione diegetica che fa il suo, e lo fa come segue: lavora sulla percezione visionaria che fornisce, è capace di mostrare tantissimo pur, nei fatti, non mostrando niente che possa farci dire “ok, ho le coordinate per interpretare la faccenda”, si avvale di un afflato nostalgico che è doppio perché in prima battuta riprende episodi dell’infanzia, della giovinezza, ecc., e in seconda perché fa rivivere tali situazioni alla protagonista, però invecchiata e azzardo anche consapevole del proprio destino. Dinanzi un impianto estetico di elevata fattura io rispettosamente mi inchino ma nel mentre inoculo allo scritto in oggetto una riflessione che parte dalla suddetta messa in scena, ammirevole e sofisticata fino all’eiaculazione ottica, se non fosse che, dopotutto, continuo a desiderare una settima arte aderente alla realtà in grado di sterrare la radice delle cose senza grandi impostazioni finzionali. Ecco, Jonaki pur avendo una marea di pregi, non è sufficientemente asciutto da farmi gridare al miracolo, del resto, nonostante il principio di profonda sconnessione che lo governa, permane una scrittura a sorreggerlo, e quindi sceneggiatura, recitazione: artificio. Dieci anni fa me ne sarei innamorato seduta stante, adesso che sono alla ricerca di altro riesco a gestire la cotta cinefila.

धन्यवाद ड्रीस

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