mercoledì 5 maggio 2021

Perro Líquen

Prima delle distopie etiopi viste in Chigger Ale (2013) e Crumbs (2015) c’è Perro Líquen (2012) e, forse, sarebbe meglio non ci fosse stato perché il Miguel Llansó che qui ritroviamo insieme ad un certo Eric Uguet De Resayre è un regista alle prime armi costretto a lavorare con mezzi inappropriati rispetto alle idee preventivate, le quali, per carità, si possono anche scorgere in quanto Llansó è un tipo che fa dell’inventiva un punto di forza, ma le velleità non ripagano una realizzazione scadente e improvvisata. Il corto procede come una sorta di diario visivo costituito da blocchi che iniziano sempre con il risveglio del protagonista nel bosco, l’attenzione sembrerebbe indirizzarsi su delle attività da karateka condotte dal ragazzo tra gli alberi, il tasso di stranezza è alto e a tratti pare di ritrovarsi nuovamente nella bislacca tauromachia de El brau blau (2008), ma mancando ovviamente tutta la professionalità di Villamediana rimane solo un bozzetto ben poco decifrabile.

Qualche distorsione ottica dal vago sapore sperimentale (a conti fatti gli unici accenti dignitosi) è scavalcata da un andazzo che non fa particolari complimenti: più le cose sono bizzarre per Llansó e meglio è. Sicché vengono inseriti personaggi a dir poco imperscrutabili, umani e non, che interagiscono con Perro Líquen (l’attore che lo interpreta è Guillermo Llansó, presumo fratello del regista) mentre nel frattempo si prosegue a rimarcare la componente delle arti marziali. Che cosa avessero in testa i due giovani filmmaker è un bell’enigma, non credo nemmeno ci fosse la voglia di ritrarre una storia di estromissione dalla società (il beneplacito della mamma pasticciera lo poteva suggerire) perché al momento di tirare le somme, il finale, si deraglia di brutto nell’assurdo. Sarò ben lieto di essere smentito sulla pochezza di Perro Líquen, ma fino ad allora ritengo maggiormente sensato posizionare lo sguardo sui titoli citati all’inizio.

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