Di sicuro il ritorno di
Werner Herzog a ciò che sa meglio fare (o così si suppone)
allontana il ricordo del dimenticabilissimo Queen of the Desert
(2015) e, filmografia alla mano, ci si accorge che Lo and Behold
(2016) è il primo documentario da cinque anni a questa parte
(l’ultimo era stato Into the Abyss, 2011), un periodo di
tempo parecchio lungo vista la rinomata prolificità del regista in
questo settore. Se lo spettatore che si appresta
a visionare l’opera sotto esame ha intenzione di domandarsi se
qualcosa è cambiato nell’approccio alla materia cinema da parte di
Herzog, il recensore (?) qui presente vi risponde subito: no, non è
cambiato niente, quello a cui assisterete è un film che ha una
traccia centrale (Internet), delle diramazioni ad essa connesse (le
possibili esplorazioni marziane, lo sviluppo dell’Intelligenza
Artificiale), la solita curiosità dell’autore (“Internet si
sogna?”) e qualche parentesi ironica disseminata lungo il percorso
(i monaci che spolliciano con il loro smartphone). Bene o male questa
formula che struttura Lo and Behold è la stessa che Herzog
utilizza da circa quarant’anni. Ma allora perché, ad
esempio, un Paese del silenzio e dell’oscurità (1971) mi
risulta ancora oggi un titolo nettamente più “forte” rispetto
alle recenti produzioni?
Il quesito oscilla tra
verità molteplici, è valido il concetto per cui mentre questo
arzillo signore classe ’42 continuava a filmare in giro per il globo
la realtà del cinema mondiale si è evoluta ed ha subito accelerate
clamorose che lo hanno lasciato indietro e non di poco, ed è anche
accettabile il punto valido un po’ per tutte le forme espressive in
cui non è tanto rimarchevole il cambio (o la sua assenza) da parte
dei cosiddetti artisti, quanto il cambiamento di chi ne fruisce, cioè
noi spettatori, perché, e di ciò ne sono fermamente convinto, con
il passare del tempo la propria sensibilità verso talune manifestazioni muta in modo irreversibile, quindi, senza escludere che se magari
oggi rivedessi il film del ’71 sopraccitato potrei non ricavarne
un’impressione altrettanto buona, quello che rimane di Lo and
Behold è un lavoro manualistico, oserei dire scolastico in
un’ottica dove gli elementi di interesse sono affrontati a mo’ di
sussidiario saltellando da un tema all’altro, da uno scienziato
all’altro, toccando sì varie tematiche orbitanti dentro e al di
fuori della Rete ma con mano superficiale, quasi televisiva, infatti
il doc non si discosta poi molto da alcuni programmi presenti su
canali come Dmax o Focus.
Voglio un bene
particolare ad Herzog, un bene immotivato o forse motivato da un
rispetto per una vita che in passato faceva rimare l’avventura col
cinema, e poco importava se la qualità non era mai eccelsa,
adesso che sta praticamente svernando negli Stati Uniti dove inanella
commissioni su commissioni, continuo a volergli bene ugualmente e in
fondo zero me ne frega di quello che fa e non fa, ciò che almeno
spero è che sappia di quanto ottimo cinema ci sia in giro e di
quanto denaro in meno rispetto a quello da lui utilizzato ci vuole
per farlo, e non pretendo affatto che Herzog proponga tale cinema, mi
auspico solo che sia a conoscenza della sua esistenza, nient’altro.
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