Primo cortometraggio
della trilogia A contraluz comprendente Alumbramiento (2007) e
The End (2008), Contracuerpo (2005)
dell’ispano-americano Eduardo Chapero-Jackson è un film a
cui bisogna riconoscere una discreta dose di intelligenza, questo
perché l’avvicinamento alla tematica centrale non è
di quelli propriamente incanalati barra concisi, il che non può
che giocare a suo favore. L’interesse di Chapero-Jackson si posa su
una piaga umano-sociale frutto bacato dell’epoca moderna:
l’anoressia, tuttavia il suo approccio (privo di dialoghi) insabbia
il tema della malattia concentrandosi sulla stranezza della
situazione e su flashback ospedalieri (non il massimo
dell’originalità) e fotografici (molto belli questi invece).
Certo è che sia la
condizione presente all’interno della vetrina che quella
riguardante il prima (o magari anche il dopo, c’è una certa
sovrapposizione temporale che scompagina l’ordine cronologico,
notare il neo della bimba che è lo stesso della protagonista),
richiamano senza particolari forzature la condizione psico-fisica
della donna, e indubbiamente l’idea del manichino, applicata una
buona dose di sospensione dell’incredulità, è…
un’Idea maiuscola visti i significati ad essa sottesi, tutte robe
che si sentono e risentono tipo “siamo in una società
dell’immagine”, “l’importante è apparire”, “ciò
che conta è come sei fuori non come sei dentro”, che il
regista ben utilizza evitando di moralizzare il contenuto, anzi sotto
questo punto di vista il finale è una zampata parecchio
riuscita che inscena sarcasticamente il declino del corpo-icona:
dalla violazione irridente del ragazzino che lo utilizza come oggetto
sessuale, all’immondezzaio dove su un nastro trasportatore viene
scartato dal purgatorio del riciclabile per precipitare in un enorme
tritatutto. La parabola annichilente si compie, eliminato l’involucro
non resta più niente, quel letto che avrebbe dovuto ospitare
il corpo di una Persona adesso è malinconicamente vuoto.
Qui la visione e qui la suggestione.
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