Un prodotto
d’animazione cinese con le caratteristiche di Hao jile
(2017) non può che avere come sottotitolo un “ehi, che fai? Non mi
guardi?”, perché la curiosità di visionare un oggetto proveniente
da un Paese così controverso è un’occasione rara per il cinefilo
di turno, però, se mi si permette di essere un po’ cattivello, la
portata concettuale del film e le riflessioni extra-filmiche che gli
ruotano attorno si schiantano con l’effettività della
realizzazione che è, ahimè, scarsa. Accetto e comprendo tutti i
discorsi che possono fiorire da Have a Nice Day,
a partire dalla scintilla narrativa che vede un ragazzo rubare una
borsa piena di soldi per un motivo quasi puerile, il regista Jian Liu
sembra chiedersi che posto sia diventato la Cina se un futuro sposo è
disposto a ficcarsi nei guai per pagare la correzione di un
intervento chirurgico alla moglie, sicuramente l’Occidente che è
filtrato dopo anni di rigido socialismo non è certo il meglio che
potesse arrivare lì (e la voce di Trump sputata dalla radio fa da
monito), una divinità ben più potente di Dio o Buddha (divertente
la disputa a proposito) è scesa in questo angolo urbano (e qualcosa
suggerisce che non sia solo lì), ed è la moneta, solo il denaro
muove le persone come pedine cieche su una scacchiera d’abisso, in
sostanza Liu ci fa vedere che a nessuno frega un cazzo di niente
dell’altro, neanche se è un suo parente, importa solo il grano. La
morale, per noi, non è così illuminante, ma se calata nel contesto
cinese e rapportata alla sua Storia sociale ed economica qualche
ragionamento lo tira via.
Liu,
vero factotum dell’animazione, avrà indubbiamente messo grande
impegno in ognuna delle sue tavole e parimenti non riusciamo nemmeno
ad immaginare le difficoltà che avrà dovuto affrontare, però il
risultato globale parla da sé e tecnicamente Have
a Nice Day è
proprio povero, passino le ambientazioni che trasmettono un senso di
accettabile degrado (siamo nei territori de Il
lago delle oche selvatiche,
2019), non passi tutta la concreta esecuzione che palesa un’assenza
cronica di fluidità, personaggi mono-espressivi, fondali a tinta
unita, automobili che si muovono su binari invisibili e labbra fuori
sincrono rispetto al parlato. La bidimensionalità che traspare (e
che magari potrebbe essere intesa come un segnale di stile e non come
una carenza) è per quanto mi riguarda l’esatto corrispettivo che
si rintraccia anche nel materiale narrativo, una fiacca storiella dal
carattere pulp che affonda nonostante il salvagente dell’ironia,
macchiette malavitose si incrociano con anonime figure sulla scena in un
gioco dove ho ravvisato una sequela di forzature e coincidenze
pressoché dilettantesche. Sarei uno stolto a chiedere veridicità in
un’opera del genere, ma lo sarei egualmente se soprassedessi a
difetti così marcati. Segnalo solo una discreta parentesi
simil-musicale dalla spinta creativa che inneggia a Shangri-La e
un’altra “diversa” con il mare increspato, per tutto il resto
Jian Liu ha ancora molta strada da fare.
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