martedì 13 novembre 2018

Nine Seven Seven

È assodato che la fantascienza umanizzata di Tarkovskij ha lasciato segni nella cinematografia sovietica, tanto che, ancora oggi, dalla Russia e zone limitrofe ci giungono segnali di una vitalità filmica che guarda con occhi dolci a Solaris (1972) e ad altre opere equipollenti, da queste parti gli esempi in merito non mancano: 4 (2004), Target (2011), Vanishing Waves (2012), ma anche i film di Lopušanskij e, forse, pure l’ultimo di German, Hard to Be a God (2013), che qui non c’è, e che è un mostro colossale, il più grande film russo da non so quanti anni ad oggi. Pellicole divergenti quelle appena citate dove ci vuole non poca sfrontatezza nel raggrupparle in un unico insieme, parimenti è penso condivisibile segnalare un comune approccio alla materia fantascientifica che evade i canoni dell’etichetta e che esprime per mezzo di segnali stilistici e tematici un senso di appartenenza nei confronti dello Stato geograficamente più grande del pianeta. Tratteggiato in modo sommario e opinabile il contesto, dico che all’elenco si può aggiungere un’altra voce: 977 (2006), un debutto firmato da Nikolay Khomeriki (regista moscovita nato nel ’75 che vanta una presenza attoriale in Rita’s Last Fairy Tale, 2012) e presentato a Cannes ’06, che è un titolo non esattamente facile, (rumore dello schiocco tra il pollice ed il medio), istantaneo, il che, in sostanza, è pane per le nostre menti che perlomeno registrano una certezza, ovvero che Khomeriki nel girare un film contemporaneo omaggia una sci-fi vintage, superata, giurassica, non per niente l’azione si svolge in una struttura sanitaria dotata di macchinari ridicoli e antiquati.

In realtà la constatazione di un’atmosfera passata più che fornire sicurezze getta ancor più nell’interrogativo, in 977 le coordinate spazio-temporali sono molto instabili e nulla ci vieta di pensare che l’Istituto sia una specie di dimensione a parte, un luogo che non esiste e che quindi non ha tempo definito (alla fine un enigmatico Leos Carax che per tutta la proiezione appare e scompare dagli anfratti impolverati del palazzo si allontana portandosi via un grosso orologio). Lo stesso giovane dottore che inizialmente appare come una figura razionale, nel prosieguo della vicenda viene attratto dal vortice surreale che lo attornia, e nel dialogo con il capo che anticipa la conclusione si potrebbe squadernare una piccola grande verità, e cioè che 977 è uno di quei film-cervello che terremotano la visione, e pur non arrivando ad elevati picchi di magnitudo, alcuni dati comunque sia crollano (“Rita non è mai esistita”) e tutto fa sì che si rimescoli in un gorgo di supposizioni. Non è un’opera a cui bisogna chiedere una comprensione Nine Seven Seven, la ricerca di una decifrazione netta ne sminuirebbe le qualità che al contrario sono site proprio nel suo alone misterico e sfuggente, però possiamo apprezzare l’evidenza degli assunti argomentativi che spaziano in aree squisitamente umane (ecco!) quali sono i sentimenti, perché 977, camuffandosi dietro una maschera retro-science fiction, non fa che raccontarci dell’arcano che unisce le persone, di quel nesso invisibile sprigionato dal nostro muscolo cardiaco, e quindi sì, Khomeriki, in un qualche modo, finisce per parlarci d’amore.

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