In un lavoro dove l’ambientazione assurge a vera protagonista, non ho tuttavia disdegnato il rivolo narrativo che la percorre, Russo dice cose semplici, già dall’incipit dove ad un certo punto parte un pezzo synthpop con tanto di inseguimento che, visti i contesti letteralmente opposti in cui il film andrà a dirigersi, suona a mo’ di canzonatura verso produzioni più altisonanti. La caratterizzazione di Elder si dà più per ciò che combina che per ciò che dice (praticamente niente), spicca tutta l’impreparazione a svolgere una mansione del genere (notevole la rapida messa in serie dei macchinari ed il loro frastuono che si schianta nelle orecchie del ragazzo, e nelle nostre), a ciò si infiltra poi il tema portante dell’opera che è il non chiaro delitto del padre ed il rapporto che viene a crearsi con Francisco, il padrino. Per fortuna Russo non scade in un’inutile spiegazione, quanto c’era di oscuro prima dell’arrivo di Elder rimane tale e anche successivamente non vi è una risoluzione netta, si galleggia in attesa che possa accadere qualcosa (mi aspettavo, sbagliando, in un’esplosione di violenza, ma forse così sarebbe stato troppo banale) perché si creano i suddetti presupposti (le inosservanze di Elder, il malcontento dei minatori, l’ambigua posizione di Francisco). E in effetti, con la dantesca riapparizione dall’oscurità, uno scarto si sostanzia sullo schermo, è giusto un’ipotesi, al massimo uno spiffero che porta con sé una lontana eco di perdono, oltre alla certezza che il cinema autoriale in Sud America gode sempre di ottima salute.
Tutti i nostri segreti – Fatma Aydemir
29 minuti fa
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