È indubbio che l’accompagnamento sonoro di Hiothøy sia l’elemento indispensabile nella composizione globale. Il repertorio si offre in un tappeto elettronico capace di far viaggiare le immagini su frequenze che non hanno niente a che vedere con la categoria documentaristica, infatti, grazie alla modulazione dei suoni e ad uno scalare di intensità fino a delle parossistiche distorsioni (maggiormente incisive, quasi “aggressive”, rispetto a quelle sentite in Ad Astra), si sconfina nel campo dell’inquietudine, come se il lento movimento della mdp fosse il preambolo per un’apparizione horrorifica o giù di lì. Dal canto suo Tunge, quando si impegna in progetti del genere, continua a ricordarmi i galleggiamenti aerei di Malick ma senza corredi filosofici, le traiettorie che compie sono morbide, avvolgono: conducono, ecco, la sensazione che prevale è un andare per i luoghi del corto in forma eterea, oculare ma non fisica. Non saprei se c’era l’intento di portare all’attenzione del pubblico uno scenario che, privo di particolare beltà estetica, passa inosservato, io mi accontento di fermarmi prima, al potere suggestionante che Bauta, in sordina, emette.
L'orso di peluche - Jacques Deray
1 ora fa
Nessun commento:
Posta un commento