Di contro assaporiamo ciò che sarà un motivo trainante del futuro: la fuga, il viaggio, lo spostamento, la transizione, è sempre stato nel movimento il nucleo concettuale dell’autrice (ad esclusione di due titoli recenti come Night Moves [2013] e Certain Women [2016] che non a caso erano parsi a chi scrive un po’ deboli) e in River of Grass ce ne viene dato un esempio in embrione, il fuggire del duo è rocambolesco e non tocca chissà quali vette esistenziali (pur provandoci stoicamente), però c’è, e sebbene limitato per vari motivi non è difficile scorgervi un parallelo che va oltre il lasciarsi dietro il presunto crimine commesso, è un’evasione dalla provincia, dall’ordinarietà quotidiana, dalla gabbia della routine e in questo sì che il film è decisamente reichardtiano, e lo è anche perché contempla un’introspezione intima della protagonista (prototipo dell’alter ego Michelle Williams) che con le sue riflessioni off colora la pellicola di tonalità che non sono solo quelle impresse dalla sceneggiatura, emerge lievemente un’estesa insoddisfazione, il senso che non si trova, la voglia di superare il confine (negativo: “girate la macchina e tornate da dove siete venuti”), la voglia di essere, chiunque: “meglio essere degli assassini che non essere niente”. Dettagli del genere oliano un debutto che come da prassi annovera aspetti da rivedere, rimane una buona base che una volta perfezionata diventerà la voce più importante di un mumblecore d’alto profilo.
L'orso di peluche - Jacques Deray
7 ore fa
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