lunedì 17 luglio 2017

Jacco's film

Più che un cortometraggio, un piccolo scrigno su cui il cinema narrativo dovrebbe buttare un occhio, anzi due, e comprendere che per fare dell’intrattenimento intelligente bisogna adoperarsi un minimo nel ravvivamento della scrittura, qui non si parla di alta settima arte, no, Jacco’s film (2009) potrebbe essere un onesto prodotto da sala qualunque, con la differenza che all’uscita della suddetta l’istinto di asfaltare il botteghino per riavere indietro i sudati denari sarebbe sopito da quanto si è potuto vedere: un prodotto “divertente” che non trascende niente, che fa leva sull’inezia che lo forma e che non si conforma troppo alle leggi soverchianti. Daan Bakker ha quel tanto di materia grigia che basta per far compiere un gesto semplice durante la fruizione, quello del sorriso che ogni tanto fa capolino sulla nostra faccia, e le motivazioni così semplici ed immediate da rintracciare fanno sorgere interrogativi che si riversano sugli ingranaggi del mainstream: troppe storie tutte uguali e soprattutto troppi modi di raccontarle identici. Si diceva delle motivazioni: l’olandese, praticamente un neofita della regia con nel curriculum personale un paio di sceneggiature scritte per altri, è molto bravo a dare un tono effervescente al film che, già col genitivo sassone del titolo, rivendica la chiara appartenenza dell’opera: Jacco è un bambino e come tale la percezione del mondo che lo circonda è filtrata dal proprio sentire, Bakker, in sostanza, non fa che assecondare un tale punto di vista adeguando il cinema alle necessità delle varie situazioni.

In quindici minuti di girato gli ornamenti estetici abbondano e rivelano una vitalità che non conosce momenti di vuoto, esattamente come la vulcanica mente di Jacco sempre pronta a diffondersi liquidamente in ogni direzione percorribile (dalla zoologia alla geografia passando per l’ingegneria), tanto che Bakker arriva perfino a consegnare al bimbo le chiavi per accedere al mezzo di trasmissione, per riavvolgerlo e risemantizzarlo a piacimento, ed ecco quindi che una furibonda lite tra i genitori si deforma, sotto la sua ingenua lente, in un buffissimo elogio verso il figlioletto che palpita in quel contrasto di cui abbiamo piena consapevolezza: tra la realtà dei fatti e la corrispettiva deformazione. La crisi genitoriale è il vero sottotesto poiché Jacco’s film parla anche di uno spaccato famigliare con padre disoccupato dipendente dalle macchinette e madre esasperata dalla triste quotidianità, ma grazie alla possibilità di farci entrare nell’ottica infantile (e quindi molto più leggera, incantata e colorata di quella adulta) il film non scade in qualche pericoloso –ismo, al contrario ci beffa!, nell’unico istante in cui pare che la vicenda si rabbui, Jakko, il vero regista della storia, con un azione! fa ricominciare tutto gioiosamente da capo.
Indubbiamente un film che piacerebbe a gente come Jaco Van Dormael o Wes Anderson.

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