mercoledì 26 febbraio 2020

Benjamin’s Flowers

Non ci basterà una vita intera per poter asserire che del florido sottobosco non-live action abbiamo visto perlomeno abbastanza, è plausibile che sia sufficiente pescare a caso nella sezione dedicata ai corti animati di qualche Festival o più semplicemente navigare nei siti web di gente dedita a tale arte che scovare piccole pepite sconosciute mirabili per l’ingegno realizzativo unito al settore argomentativo diventa un gioco da ragazzi, ovviamente stanare uno short, chessò, armeno, non tampona l’ingestibile proliferare mondiale della contemporaneità, tuttavia meglio non intristirsi troppo e assimilare quel poco che si riesce ad acciuffare, dunque: il poco in questione di oggi è Benjamin’s Flowers (2012), mini ritratto d’alienazione con passaporto svedese firmato da Malin Erixon, disegnatrice nonché artista a tutto tondo che nel 2000 ha fondato la Ganzanderes, una società che si occupa di grafica – e non solo – in svariati settori, un click qui e potrete notare il fermento riguardante la regista nata a Stoccolma. Per un’eguale tendenza a fare tema di studio l’umana solitudine il corto si può accostare ad un suo simile precedutogli di qualche anno: Skhizein (2008), è però un’impressione piuttosto superficiale che non attecchisce perché Clapin, al pari di tutti gli altri suoi lavori, instilla gocce di nostalgia, di fragile dolcezza, che invece non sono riscontrabili qua, almeno non nel nucleo portante.

La Erixon preferisce infilarsi nel disturbo del protagonista appaiando la propria veduta a quella della sua mente sbilenca, è un procedimento ludico di cui godiamo un estro e una carica inventiva che si mettono a servizio della psicosi in una metamorfosi mentale dove non viene risparmiato un certo turbamento sessuale, nient’altro che le fantasie erotiche del buon Benjamin, ma il fatto che esse vengano filtrate da un vestito entomologico rende la faccenda meno affabile del previsto: persiste, sottilmente, flebilmente, ma persiste, una membrana di attraente anormalità, un’estesa weirditudine che restituisce un paesaggio casalingo fortemente paranoico, e non mi sto riferendo alle incursioni insettifire, talmente squinternate da non necessitare approfondimenti, quanto alla così definibile realtà che, seppur girando al minimo con i pensieri sconclusionati di Benjamin, non lesina una sottile ansia, una calma insana regolata da effetti sonori che strisciano nel subconscio (la pioggia battente, il ronzio della mosca, il battito regolare prodotto, se notate, dal cane che picchia la coda sul divano), la presenza di una tale atmosfera è propedeutica alla definitiva fusione dei due mondi che si mischiano con assoluta, sballata, naturalezza, tanto che alla fine ogni cosa diviene un prodotto celebrale (l’animale domestico, il ginnasta televisivo) che lascia il povero omino solo ma probabilmente felice con i tanti sogni sotto vuoto.

Nessun commento:

Posta un commento