El Senyor ha fet en mi
meravelles (2011) ha fatto parte di un progetto patrocinato
qualche anno fa dal MACBA di Barcellona in cui era stato chiesto ad
alcuni registi sparsi per il globo di intraprendere tra loro una
corrispondenza epistolare in forma audiovisiva, non ho trovato
informazioni precise su come e perché siano state formate le coppie
adibite a scambiarsi le “lettere”, fatto è che Albert Serra ha
inviato la sua missiva a Lisandro Alonso e lo stesso autore argentino
ha replicato in egual maniera al catalano. C’è una differenza di
forma tra le due opere perché il lavoro di Alonso che si chiama Sin
título (Carta para Serra) (2011) è un cortometraggio di
ventitre minuti mentre la risposta di Serra di minuti ne conta
centoquarantasei e non di così facile assimilazione, resta comunque
un comun denominatore poiché in ambedue i film i registi toccano in
qualche modo i loro rispettivi lungometraggi di debutto e quindi La libertad (2001) per Lisandro e Honour of the Knights (2006)
per Albert. Si diceva di una non così agevole visione perché El
Senyor ha fet en mi meravelles richiede molto impegno da parte
dello spettatore che deve fronteggiare una pellicola impostata come
se la mdp fosse capitata per caso lì nella Mancia e sempre per caso
si fosse messa a riprendere i discorsi e i silenzi della troupe in
procinto di girare la sopraccitata opera del 2006.
Il film in questione è
pressoché costituito esclusivamente da piani fissi molto lunghi (ho
contato solo una rotazione laterale sul cavalletto) dove i futuri
Sancho Panza e Don Chisciotte insieme allo sparuto staff gironzolano
sul set che di lì a poco li vedrà protagonisti. Trattandosi di
Serra però questo non è affatto un “making of” o qualcosa di
simile, anzi un aspetto che più si distingue è che la materia
cinema, una materia che ci si aspetterebbe affrontata di petto, viene
invece accantonata preferendole un flusso di pensieri e parole che
spaziano dalla politica franchista alle moto Guzzi in un tentativo,
riuscito, di cogliere la realtà senza filtri né artifici; eppure
non è solo così, cioè, chi scrive non ha ravvisato soltanto una
successione di quadri statici dove della gente parla di cose non
particolarmente interessanti, se guardiamo il curriculum di Serra
notiamo che una sua peculiarità artistica è sempre stata quella di
smitizzare le saghe, le tradizioni, di perculare chiccosamente il
sacro, lo ha fatto con Cervantes, con la Natività (Birdsong,
2008) e con due figure al confine tra la Storia e la fantasia come
Casanova e Dracula (Story of My Death, 2013), ebbene tale
procedimento, se vogliamo, si ripresenta anche in El Senyor ha fet
en mi meravelles con un dettaglio da non scartare perché
qui chi Serra desacralizza non è altro che se stesso e quindi il suo
cinema, sicché abbandonati gli argentei bianchi e neri e le umide
penombre, e smessi gli ingombranti abiti dell’hidalgo e del suo
scudiero, quello che si realizza davanti a noi è un mettersi a nudo,
una potatura di un credo registico che porta la proiezione all’osso,
una contro-manifestazione di cinema che acquista più valore se
inserita nel percorso di Serra, un percorso che nell’attuale
panorama autoriale resta sempre una vetta.
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